Fonte: Toscana Oggi, edizione del 16/05/2021
Pubblichiamo ampi stralci del comunicato dell’arcivescovo Riccardo Fontana, delegato Cet per la cultura e le comunicazioni sociali, in occasione della Giornata di domenica 16 maggio. La Giornata delle Comunicazioni Sociali riveste un’occasione utile per far ripensare ai cristiani della nostra Regione e alle Chiese toscane il ruolo del comunicare.
“Discorrere tra di noi, dialogare con tutti, proporre idee per migliorare l’esistente è parte dell’eredità del Concilio Vaticano II che è nostro compito far rivivere nel contesto attuale, marcato dalla diversità e dalla precarietà: «Comunicare incontrando le persone come e dove sono», ci ricorda il tema proposto per questa 55ª Giornata mondiale. Comunicare ovviamente coinvolge i mezzi a nostra disposizione, come quelli che ci vengono dalla tradizione. Dobbiamo molta gratitudine a quanti con intelligente lavoro hanno ravvivato il sistema mediatico delle nostre Chiese toscane.
Il tema merita una riflessione ulteriore: non si tratta sempre e solo di mezzi, ma di cogliere il senso del concetto di comunicazione che, essendo della stessa radice di comunione, non è questione eludibile per noi cristiani. È un argomento che tocca l’identità. Da un po’ di tempo mi pare che ci sia, almeno in alcuni, una certa rassegnazione, come chi pensa d’aver fatto tutto quel che si poteva e, se i tempi sono tali che non si arriva a fare ponti con chi vorremmo raggiungere, pazienza: di più non ci riesce fare. È un modo vecchio di ragionare e non è concesso alle Chiese di adottarlo.
Riguarda infatti aspetti molto importanti della nostra missione. Penso per esempio alla catechesi: se non comunica diventa un enorme impiego di forze sprecato per la nostra poca capacità di indirizzo e di ricerca. La Scrittura ci indica, con la parresia degli Apostoli, esattamente il contrario della rassegnazione di fronte alle difficoltà. Il Papa di continuo ci richiama alla missione. Chiediamoci per favore quale riflessione globale stiamo facendo sulla questione giovanile. Mai come in questo tempo abbiamo avuto tanto impegno sociologico per leggere il presente, eppure le forme tradizionali di pastorale sono per lo più lasciate all’impegno dei singoli. Non si parla ai più. Ci si conforta con i circoli che ci danno retta. Eppure la storia recente dovrebbe insegnarci che anche chi ci fronteggia, vorrebbe solo una Chiesa più bella, più coerente con il Vangelo. Siamo benedetti: almeno il Vangelo non mi pare che lo contesti seriamente nessuno. Chiediamoci quali obiettivi vogliamo perseguire per passare la fede alla generazione nuova. I segni non mancano. Per esempio medici e infermieri che in pandemia hanno aiutato i moribondi ad affidarsi a Dio e hanno pregato di fronte alla morte in quei terribili scafandri. Comunicare vuol dire soprattutto aiutare a formare coscienze libere forti, che è parte del nostro servizio. Facendolo prepareremo donne e uomini di qualità, pronti a impegnarsi per il bene comune. Non ripieghiamo sulle tradizioni, sulle devozioni, sul déja vu, che non comunicano con la gente, ma con il folklore.
Non confondiamo la preghiera con le sue forme. Comunicare ci chiede di avere il coraggio di voltare pagina. Comunicare si può: cerchiamo di farlo insieme, non nella ricerca del sensazionale che stufa, ma nell’offerta di quei favolosi contenuti che ci fecero raccogliere la sfida e ci fecero vedere che è bello coinvolgerci in questa Chiesa”.
Riccardo Fontana, arcivescovo delegato Cet per la cultura e le comunicazioni sociali