Una roboante revisione del sogno americano
che altra consapevolezza avrebbe reso memorabile
Nel 1979, il Presidente Carter ha appena parlato al mondo della mancanza di fiducia della gente che sembra destinata ad aumentare. Barry Seal, pilota di linea Twa, è contattato da un misterioso Schafer (forse la CIA?) che gli propone, apparentemente senza qualificarsi, di lavorare per il suo paese sorvolando con un bimotore alcuni Stati del Centro e Sud America e fotografando località di interesse strategico. Quando il cartello della droga colombiana ne individua le ripetute azioni, gli propone a sua volta di trasportare cocaina negli Stati Uniti dietro adeguata retribuzione. Quando Schafer e i suoi capi realizzano l’accaduto, rilanciano: Seal dovrà trasportare armi destinate ai contras che combattono contro i sandinisti in Nicaragua. In tutto questo, il dato certo è che Barry Seal accumula dollari al punto da non sapere più dove metterli ed è costretto a mettere su una squadra di piloti per far fronte ai molteplici impegni. Ma arriverà il momento in cui l’amministrazione Reagan (ovvero, negli anni Ottanta, il passaggio dall’autocritica all’edonismo) gli chiederà di tradire gli spacciatori (non gente qualsiasi: Ochoa e Escobar, tanto per dire). E alla fine, inevitabilmente, il postino suonerà due volte.
Il dato più interessante di “Barry Seal – Una storia americana” è che, nonostante l’apparenza di film d’azione (avvalorata essenzialmente dai trailer) racconta una storia vera. E se la storia è vera, occorre per l’ennesima volta rimettere in discussione la grande democrazia americana, il paese delle occasioni, il sogno americano e molte verità che assumono significati diversi a seconda dell’ottica nella quale le si presenta. Incidentalmente, Barry Seal è già stato rappresentato tre volte: da Dennis Hopper e da Michael Paré al cinema, da Dylan Bruno in televisione. Roba vecchia o roba nuova, sempre meglio rinfrescarsi la memoria. In partenza, non è che i precedenti del regista Doug Liman inducessero a una fiducia esagerata: tra gli altri “The Bourne Identity”, “Mr. & Mrs. Smith”, “Jumper” e “Edge of Tomorrow”, dove si richiede di ragionare non tanto sull’esito commerciale quanto sul valore intrinseco dei film. In più, la presenza di Tom Cruise poteva far pensare a un altro blockbuster con eroe sorridente e sprezzante del pericolo sulla falsariga di “Mission: Impossible”. E invece sembra che la musica cambi a partire dal modo in cui Liman ha scelto di girare il film, alternando riprese tradizionalmente classiche a un uso molto frequente della macchina a mano in modo da stare addosso ai personaggi riducendo di molto l’incidenza dell’azione. E poi da non sottovalutare il fatto che Tom Cruise, divo inossidabile, si presta ad interpretare un personaggio che sorride, ha atteggiamenti piuttosto guasconi, scala rapidamente le vette del successo ma, al momento opportuno, non può esimersi dal pagare il conto più salato.
Appare chiaro che, in mani più consapevoli e meno inclini alle distrazioni, il film sarebbe diventato un atto d’accusa di portata non indifferente. Il fatto, però, che al timone ci sia una mezza figura come Liman, fa sì che si ottenga un bizzarro risultato. L’intenzione dell’autore di ricondurre tutto al minimo comune denominatore delle gesta di una banda di soliti ignoti cui per forza di cose gli eventi sfuggono di mano, trasforma la politica estera americana, i narcos colombiani e l’opinione pubblica (tutto, insomma) in una specie di carnevale senza regole dove Barry Seal dovrebbe muoversi come un jolly impazzito. Va a finire che la forza di “Barry Seal” sta proprio in questa bizzarria, che rende l’idea di certe questioni internazionali molto meglio di un serio trattato o di un’analisi documentata. Anche perché, pur sorvolando su certi passaggi rendendoli inspiegabilmente semplici, Liman e lo sceneggiatore Spinelli non possono esimersi dal rispettare alcune verità storiche che trasformerebbero qualunque carnevale in una veglia funebre. Certo, Tom Cruise continua a sorridere e persino a mostrare beffardamente (e narcisisticamente) il fondoschiena. Ma al momento opportuno neanche lui può tirarsi indietro e deve chinare il capo di fronte alle esigenze della storia. “Barry Seal” non è un gran film, ma conserva tracce precise di un progetto più meditato che avrebbe fatto più luce sull’altra faccia della medaglia.
di Francesco Mininni
BARRY SEAL – UNA STORIA AMERICANA (American Made) di Doug Liman. Con Tom Cruise, Sarah Wright, Alejandro Edda, Domhnall Gleeson. USA 2017; Drammatico; Colore