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“WEST SIDE STORY ” Spielberg rilegge un classico

di Marco Vanelli

Ci si avvicina con un po’ di timore al nuovo West Side Story, avendo scolpito nella memoria personale e collettiva il capolavoro del 1961. Quello di allora fu un evento rivoluzionario nel cinema di Hollywood, in quanto il musical veniva rinnovato al suo interno grazie a una storia eterna, sì, come quella shakespeariana di Romeo e Giulietta, ma trasformata in una moderna tragedia di teenagers dei quartieri popolari newyorkesi. A suggellare l’impresa c’erano le canzoni e la partitura di un musicista colto e raffinato quale Leonard Bernstein e le coreografie acrobatiche e nervose di Jerome Robbins. Questi firmò la regia del film assieme al più collaudato Robert Wise a cui si deve, semmai, l’appesantimento statico delle sequenze romantiche. Un altro merito del vecchio film furono i titoli di coda, affidati al maestro della grafica Saul Bass, scritti come graffiti su delle assi di legno che fungevano da limite tra il territorio dei teppistelli Sharks (portoricani) e dei Jets (americani bianchi).

Steven Spielberg, nella cui filmografia mancava un musical, ha firmato l’attuale edizione realizzando non tanto un remake, quanto una rilettura del classico, rispettandone l’ambientazione temporale (fine anni ’50) e geografica (il quartiere West Side di Manhattan, in ristrutturazione), l’immaginario (le scale antincendio, i vicoli stretti e bui coi panni stesi), le tipizzazioni (i giovani «ribelli senza causa», alla James Dean, che cercano nello scontro fisico e nell’eccesso un modo per esprimersi), il senso ultimo della vicenda (l’amore che è più forte dell’odio razziale e di parte).

L’orchestrazione e gli arrangiamenti sono simili all’originale e le canzoni le stesse, fuse in modo fluido nella vicenda. Anche quando si assiste a una scena violenta e drammatica come durante il brano Cool, l’azione e il canto non stonano e risultano credibili. Ma per comprendere il senso di questa operazione si deve prestare attenzione al personaggio di Valentina, versione al femminile del vecchio Doc, trasformata in una sorta di coro greco che osserva e commenta. A interpretarla è stata chiamata Rita Moreno, colei che nel 1961 incarnava Anita, ruolo per cui vinse un Oscar come migliore attrice non protagonista (e non è difficile immaginare un’altra nomination…) e che ora ha creduto nel nuovo progetto al punto da esserne produttrice esecutiva. Non solo Valentina dimostra la saggezza dovuta all’età, ma è anche l’esempio che una convivenza amorosa è possibile, avendo lei portoricana sposato un americano bianco e dando lavoro a Tony, ex capo dei Jets in cerca di riscatto sociale.

In particolare diventa significativo che sia Valentina, e non Tony e Maria, a intonare la canzone che esprime un vero senso di speranza, perfino escatologica: Somewhere (There’s a Place for Us). Dall’alto dei suoi 90 anni, Rita Moreno sembra tornare sul set di un tempo e dirci che oggi le cose non sono cambiate più di tanto, i conflitti etnici sono, semmai, aumentati assieme ai pregiudizi di genere, ma l’utopia di cercare un luogo dove «troveremo un nuovo modo di vivere e perdonarci» è sempre un valore da perseguire. A questo proposito è utile vedere anche il documentario (disponibile sulle piattaforme Chili, Rakuten, iTunes) Rita Moreno: oltre ogni limite, di Mariem Pérez Riera, per comprendere il valore aggiunto di una tale interprete.

I volti di oggi sono teneri e irregolari come gli adolescenti di sempre, ma non valgono il confronto con l’intensità di Natalie Wood, George Chakiris o la giovane Moreno. La fotografia fa un buon lavoro cromatico (ma il Technicolor in 70mm era un’altra cosa…), esaltando i costumi coloratissimi (come nel celeberrimo numero America, qui spostato nel traffico cittadino) o richiamando gli scorci urbani dipinti da Edward Hopper (di cui Spielberg è uno dei collezionisti più noti). Merita anche stavolta godersi i titoli di coda in time-lapse dove compare anche la dedica del regista alla memoria di suo padre.

WEST SIDE STORY
Regia: Steven Spielberg; sceneggiatura: Tony Kushner dal musical di L. Bernstein, S. Sondheim e A. Laurents; interpreti: Ansel Elgort, Rachel Zegler, Ariana DeBose, David Alvarez, Rita Moreno; fotografia (colore): Janus Kaminski; formato: 2,39:1; origine: Usa 2021; durata: 156 min.

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 09/01/2022

 

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