“STRINGIMI FORTE” Realizzato come
un continuo flusso di coscienza, «Stringimi forte» dà voce e corpo alle
elaborazioni mentali della protagonista,
una donna alle prese con un distacco
doloroso
di Marco Vanelli
Clarisse è una giovane madre di famiglia, con un marito affettuoso e due bambini, una femmina e un maschio. Una mattina decide di partire abbandonando tutti, senza dare spiegazioni. Porta con sé il nastro con la registrazione delle sedute al pianoforte di sua figlia per ascoltarlo nella sua vecchia auto e intanto immagina come possa procedere la vita in casa senza di lei. Ma forse tutto questo non è vero, e invece sono gli altri tre a essersi allontanati da lei per sempre, in quanto morti in un incidente sulla neve. Quello che stiamo vedendo è allora una proiezione mentale di Clarisse che cerca in quel modo di elaborare il lutto.
Stringimi forte, il bel film di Mathieu Amalric, attore poliedrico (ha recitato per Resnais, Polanski, Iosseliani, tra gli altri), da molti anni anche regista (otto, con questo, i titoli al suo attivo), si presenta come un flusso di coscienza della protagonista, donna segnata da un trauma. Per tocchi progressivi ci vengono rivelati gli elementi che servono a noi spettatori per orientarci e ricostruire la sua storia così com’è davvero accaduta, anche se l’elemento importante resta la capacità che ha la sua mente di reinventare in continuazione quella vicenda familiare. Il linguaggio filmico è usato al meglio per evocare le immagini visive e sonore che si alternano, si sovrappongono, si ripetono dentro Clarisse, fantasmi che lei evoca per continuare a provare sensazioni, emozioni, sentimenti verso i suoi cari. Il mondo esterno fa la sua strada, non capisce, evidenzia le stranezze nel comportamento di lei senza cercare di comprendere. Ma dal suo osservatorio la donna, senza più freni inibitori, può selezionare ciò che davvero conta, arrivando a intromettersi nelle vite altrui come quando un padre, durante una visita guidata di cui Clarisse è la guida, rimprovera a sproposito il figlioletto e si ritrova apostrofato da lei senza troppi complimenti, richiamato ai suoi autentici doveri di genitore.
Il film si apre e si chiude con Clarisse che usa un mazzo di istantanee della sua famiglia come fossero carte per un solitario: le dispone coperte su un letto, poi le rovescia, le accoppia e le scombina. Di fatto crea delle storie, proprio come fa un narratore quando sviluppa le trame e rimescola il tutto se c’è un intoppo nel racconto. E l’intoppo principale è la separazione, l’allontanamento: sia esso forzato o volontario.
Il merito della riuscita di Stringimi forte – titolo programmatico per chi vive in un simile stato emotivo – va principalmente alla regia che ha saputo esprimere in modo credibile la confusione mentale di Clarisse lavorando di cesello sul montaggio rapsodico; ma un plauso va anche alla protagonista, Vicky Krieps, dalla bellezza pulita e antica, capace di donare uno sguardo introspettivo, trasognate spaventato a seconda delle modulazioni della sua vicenda umana. Quando nello chalet di montagna, nell’imbarazzo della cameriera ordina la colazione per sé, per il marito e per i figli che invece sono assenti, sa farci partecipi di una realtà spirituale ferita che necessita di tempo e di riti per poter trovare una sua collocazione esistenziale, toccando corde che chiunque abbia vissuto qualcosa di altrettanto doloroso può riconoscere e sentire sue. Come dice il regista: «Stringimi forte non è un film sul rispetto della morte, ma sull’appetito per la vita; su questa forza incredibile che ci porta a reagire alla perdita provando a inventare e a immaginare».
Inventare e immaginare sono da sempre anche le armi di chi fa cinema.
STRINGIMI FORTE («SERRE MOI FORT») Regia e sceneggiatura: Matthieu Amalric; interpreti: Vicky Krieps, Arieh Worthalter; fotografia (colore): Christophe Beaucarne; formato: 1,85:1; origine: Francia, 2021; durata: 97 min.
Fonte: Toscana Oggi, edizione del 20/02/2022