“La città incantata”, una travolgente fiaba di formazione
recensione a cura di Lorenzo Pierazzi
Una bambina bizzosa, un tunnel misterioso, due genitori trasformati in maiali, un mondo fantastico abitato da esseri incredibili. La città incantata, il capolavoro di Hayao Miyazaki, è una vicenda così complessa e popolata da un’infinità di mirabolanti personaggi che tanto vale ridurre la sintesi di ciò che accade a questi pochi elementi essenziali.
La protagonista del pluripremiato disegno animato del 2001 (Orso d’Oro alla Berlinale del 2002, Oscar come miglior film d’animazione l’anno successivo), adesso nelle nostre sale a distanza di 19 anni dalla prima uscita (a cui seguiranno la Principessa Mononoke, Nausicaa della Valle del Vento, Porco Rosso e Il castello errante di Howl), è Chihiro una ragazzina di 10 anni perennemente imbronciata con i propri genitori perché deve lasciare la città e i propri amici per trasferirsi in campagna. Durante il viaggio, padre, madre e figlia smarriscono la strada principale e si addentrano a piedi in un tunnel che li introdurrà in un mondo fantastico. Qui, mentre i due genitori si lasceranno vincere dalla loro ingordigia rimpinzandosi di cibo a tal punto da diventare due ributtanti suini, la piccola Chihiro, ormai rimasta sola, dovrà affrontare un’incredibile serie di prove destinate a trasformarla, come nei migliori romanzi di formazione, da bambina gracile e arrendevole in adolescente forte e tenace. La città incantata non è un cartone animato per bambini, o meglio non è una pellicola che si rivolge soltanto ai più piccoli poiché i temi affrontati riguardano anche gli adulti: il rispetto dell’ambiente, lo sfruttamento nel lavoro, il rispetto verso le donne e gli adolescenti, l’avidità nelle sue varie accezioni, la lotta tra il bene e il male, il bisogno di trovare un giusto punto d’incontro tra realtà e fantasia, tra rassegnazione e gioia di vivere. Argomenti profondi che Hayao Miyazaki ha affrontato più volte nella sua produzione che vanta anche serie televisive, spot e videoclip. Oltre ad altri affascinanti lungometraggi, sempre attraversati dalla predilezione per i fantasmi buoni, come l’indimenticabile omonimo protagonista de Il mio vicino Totoro del 1988 che darà vita al logo dello studio di produzione Ghibli, e per il vento che tutto muove e che diventa protagonista assoluto della pellicola d’addio, Si alza il vento del 2013, commovente omaggio all’amore e all’arcense Gianni Caproni pioniere dell’aviazione italiana. Per realizzare La città incantata, un’opera d’arte che il mondo ha potuto apprezzare in epoche diverse (la Cina addirittura soltanto nel 2019), Hayao Miyazaki si è affidato a disegni dalle tonalità vivaci e originali. Le sue tavole non sono dominate dall’estenuante ricerca della perfezione digitale, ma rimandano a una bellezza che appartiene all’originalità del loro tratto più che alla fedele riproduzione della realtà.
Ed è proprio per questo motivo che le decine di personaggi che Chihiro incontrerà sul suo cammino rimangono ben impresse nella memoria, da Yubaba la strega dalla testa e dal naso incredibilmente grandi a Haku che l’aiuterà a liberare i suoi genitori, da Senza-Volto lo spirito che si affezionerà alla ragazzina ai susuwatari, la fuliggine operaia. La città incantata è un fiume in piena che travolge attraverso un’ondata di colori, musica, emozioni, rotolando vertiginosamente verso un finale rassicurante anche se, allo stesso tempo, pervaso da un velo di malinconia. Perché diventare adulti ci fa sentire più forti, ma il timore è perdere la voglia di continuare a sognare.
LA CITTÀ INCANTATA [Sen to Chihiro no kamikakushi] di Hayao Miyazaki. Produzione: Studio Ghibli; Distribuzione: Mikado Film; Giappone,2001 Animazione, Avventura;
Fonte: Toscana Oggi, edizione del 17/07/2022