UN PRETE SCOMODO Il Messaggero 23_1_76 Leo
Sempre difficile accostarsi a personaggi ancora vivi nella memoria e ricostruirli sullo schermo con sufficiente credibilità, senza cadere nei mille trabocchetti che un lavoro del genere comporta. Piero Tosini, reggiano. è al suo secondo tentativo: dopo aver dedicato un film (Fratello ladro) al francescano Padre Lino da Parma che visse per i poveri e con i – poveri ha ora volto il suo , obiettivo su un altro religioso, Don Lorenzo Milani, forse il prete più scomodo che la Chiesa abbia annoverato nelle sue file in questo scorcio di secolo e dalle nostre parti.
Nen è qui il caso di rifare la storia del parroco di Barbiana. mono di leucemia a Firenze nel 1967 dopo una vita tutta tesa ad esaltare la missione sociale della chiesa in uno dei periodi di maggior travaglio del cattolicesimo italiano. stretto fra le ultime crociate del pontificio di PioXII e le speranze (o le illusioni?) che dovevano esplodere di lì a poco nel breve regno di Giovanni XXIII. Si tratta di storia recente e abbastanza nota attraverso l’abbondante epistolario che Don Milani ci ha la sciato.
E proprio queste lettere, o almeno le più significative, costituiscono il soggetto di questo film. Tosini si è limitato a sceneggiarle, insieme a Luciano Lucignani con un tono che sa molto di agiografia una sorta di divulgazione popolare delle idee del sacerdote toscano. delle sue scelte in un certo senso classiste, del suo porsi dalla parte degli umili e dei diseredati.
Ne esce un’opera priva di ogni dialettica, nella quale il pensiero di Don Lorenzo viene proposto acriticamente anche nei risvolti più discutibili. E questo appare poco compratibile se si considera la matrice marxista del regista reggiano. L’unico tocco veramente personale di Tosini consiste nell’inserimento di alcuni spezzoni di documentari (le torture dei parà francesi ai danni degli algerini, pagine della Resistenza) volti a sottolineare con maggiore efficacia le parole del prete di Barbiana.
In più c’è una certa tendenza al melodrammatico che decisamente infastidisce, né rende giustizia alla memoria del protagonista, il quale è affidato a Errico Maria Salerno finalmente senza il parrucchino con il quale eravamo abituati a vederlo negli ultimi polizieschi all’italiana. Salerno si è adattato perfettamente al tono dei film con una recitazione accattivante e virtuosistica, ma che proprio per questo non riesce ad essere convincente.