DON MILANI G.C. 30/04/76
A distanza di quindici giorni, questo è il secondo film che ci arriva su Don Milani, il parroco di Barbiana spentosi nel 1967, quando ancora era in corso il processo intentatogli. per apologia di reato (che poi era, nel caso specifico, difesa dell’obiezione di coscienza).
Diciamo subito che il pretino coraggioso andrebbe meglio servito dai suoi biografi cinematografici e non. Questo nonostante il film dell’ esordiente Ivan Angeli abbia qualche carta in più del precedente, di Tosini, che si riduceva a un’interminabile monologo di Enrico Maria Salerno.
Le carte: una miglior resa figurativa. Angeli è toscano e novantanove su cento viene dai documentari. I luoghi dell’azione sono contemplati con l’afflato lirico di chi persegue anche un pellegrinaggio sentimentale. Angeli fa tesoro della lezione di un, Olmi (e prima ancora di un Figli erty) cioè per raccontare la storia di un uomo, ripercorre i suoi, passi, respira la sua aria, infila la macchina da presa in mezzo alla gente che lo conobbe.
Il personaggio. stesso in questo modo gli vìen fuori anche meglio. Don Milani da « voce che grida nel deserto », da grintoso e svaccato Giovanni Battista (come è ormai di moda rappresentarlo) ritorna un piccolo prete coraggioso, né più intelligente o più ambizioso di tanti altri, solo molto onesto, molto coerente, privo di quelle sovrastrutture che condizionano. /renono e a volte snaturano l’azione di tanti sedicenti fratelli in .Cristo.
Un “ innocente “ che appunto perché tale intuì, senza essere impastoiato da considerazioni politico-strategiche, cose che oggi sembrano ovvie, ma che vent’anni fa, dette da un pulpito, davano scandalo: cioè che la scuola italiana, da sempre, è stata strutturata come scuola di classe, che è ignobile perseguire l’obiezione di coscienza che è possibile la conciliazione della professione di fede cattolica con quella di idee marxiste.
E un solitario: perché gli capitò di morire, quando anche le forze politiche più moderate si impadronivano delle sue battaglie a livello di slogan (e senza nemmeno riconoscergli il copyright).
Purtroppo, se in parecchi punti « Don Milani » riesce ad essere film, suggestivo e anche profondo, il tono generale è quello flebile, superficialmente espositivo, da sceneggiato televisivo di Rossellini (non a caso il protagonista, Edoardo Torricella, viene dal cast di “Atti degli apostoli “).
Il raccontare sotto le righe sta diventando la scusa per il prigione narrativo. La paura di fare la biografia alla Hollywood stoppa qualsiasi” tentativo di definizione dei personaggi (solo manichini per dire « Bravo Don Milani », « Cattivo, Don Milani • e poi via).
E allora è il fotoromanzo della vita di Don Lorenzo a mo’ di « Famiglia Cristiana (un’ipotetica « famiglia Cristiana » che facesse l’esaltazione dei preti « scomodi ). E a nessuno, nè ad Angeli nè a Tosini, che gli venga in mente di raccontare la genie di Barbiana, di indagare come Don Lorenzo « sfondò » tra i contadini toscani. E come divenne una bandiera per tanti reietti in tutta ltalia.