Don Milani sul set della sua Barbiana 17_08_2017 Simonetta Fiori
Uno ,due , tre, ciak. «Si va avanti? Non sarebbe meglio provare se quel dialogo si sente?». Davanti alla cinepresa don Milani sembra preoccupato che le riprese funzionino, lo sguardo incerto rivolto al regista: «Volevo sapere se le parole si sovrappongono…». Fino a quel momento – siamo nel dicembre del 1965 -s’era sempre rifiutato di farsi riprendere nella sua scuola di Barbiana. Ma una volta detto sì, bisognava cercare di fare al meglio.
E allora ecco don Lorenzo che davanti alla macchina da presa condivide con i suoi ragazzi la scrittura collettiva, dietro il lungo tavolo tappezzato di mille foglietti. Eccolo seduto sulla sdraio a righe con il giornale in mano: è l’ora della lettura dei quotidiani. Oppure mentre s’arrampica sul colle con avvinghiato al braccio Marcellino, il bambino che non sapeva parlare. La sequenza su Marcellino vale più di una intera biblioteca di pedagogia: il sorriso a mezzaluna, gli occhi che sprizzano felicità, Marcellino guarda dentro la camera e ride con quella sua bocca larga che sembra disegnata da Schulz, ride perché è il suo solo modo di comunicare. Dalle scuole del tempo era considerato ritardato. Don Lorenzo lo pensa uguale agli altri e gli parla in inglese.
Trentotto minuti di girato totalmente inediti. Un filmato straordinario trovato e restaurato dal regista Alessandro D’Alessandro dopo la morte del padre: il padre Angelo era stato l’unico cineasta ammesso nella parrocchia di montagna insieme all’operatore Giuseppe Piazza. E intorno a queste immagini D’Alessandro figlio ha costruito Barbiana ’65. La lezione di don Lorenzo, un bellissimo docufilm che sarà presentato a Venezia alla Mostra del Cinema (una produzione Felix Film in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà e la Fondazione don Lorenzo Milani ). È l’epilogo a sorpresa di questo interminabile anniversario milaniano, che dopo
molte celebrazioni (e non pochi veleni) restituisce la parola a don Lorenzo. La voce bene educata, il soffio toscano che assorbe le sillabe, i lineamenti delicati da figlio dell’alta borghesia che aveva scelto la rivoluzione: don Lorenzo si riprende la parola per dire cos’è stata la sua scuola, come solo «la conoscenza renda sovrani», cittadini responsabili ed eguali. E perché «l’obbedienza non è acquiescenza acritica ai comandi ma adesione critica alla legge per fare leggi sempre migliori». E che esiste un’unica «teologia che è anche filosofia e politica: quella degli affetti». La macchina inquadra lo sguardo assorto dei ragazzi, insaccati nelle loro maglie ruvide di lana grezza: gli occhi luminosi di chi – in una sperduta canonica di campagna – stava scoprendo il proprio riscatto.
«Se vuole può girare». La storia comincia così, quasi per caso. Angelo D’Alessandro, un insegnante del Centro di cinematografia sperimentale, era salito nel 1965 a Barbiana perché interessato al tema dell’obiezione di coscienza. Ma pian piano entra nella vita della scuola, viene ammesso alle lezioni, “supera l’esame” come dice spiritosamente il priore. «Quando mi disse che potevo girare rimasi molto sorpreso», avrebbe raccontato D’Alessandro. «Sapevo dei suoi rifiuti precedenti. Ma con noi fu generoso, arrivando a celebrare la messa per finta». Eccolo don Lorenzo mentre con i paramenti sacri compie il gesto dell’offertorio ad uso della camera, e lo ripete più volte, perché nulla della sua scuola deve restare fuori, neppure la messa.
Cosa indusse il sacerdote a cambiare atteggiamento* verso la cinepresa? A spiegarlo nello stesso docufilm è Adele Corradi, la professoressa che l’affiancò a Barbiana dal 1963 fino al 1967, anno della morte. «La mia impressione è che volesse realizzare un filmato il più fedele possibile alla sua scuola». Adele restò colpita soprattutto dal protagonismo del sacerdote, dalla sua scelta di comparire al centro della scena mentre nei Su- per 8 girati tra di loro faceva di tutto per nascondersi. «L’atteggiamento da protagonista era contro le sue abitudini. Provai allora dentro di me – e lo provo tuttora – la sensazione che sapendo di essere molto malato don Lorenzo volesse lasciare un documento». Una sorta di testamento per immagini che ci racconta la più sofisticata delle scuole, erroneamente ritratta come esperimento di campagna in realtà avamposto della didattica pieno zeppo di mappe geografiche, astrolabi, telescopi, dizionari, tavolozze, pennelli, cavalletti, sussidiari, testi classici. Alle pareti non compare ma il crocefisso, perché l’obiettivo di Barbiana è costruire non fedeli ma cittadini responsabili. «La prima cosa che mi colpì arrivando lì», racconta Adele, «è che non si faceva mai l’elogio dei bravi. Essere bravi non era un merito ma un compito. Quando uno sapeva bene la matematica gli si diceva: te fai scuola ai piccini».
Costruito anche sulle testimonianze di don Ciotti e di Beniamino Deidda, ex procuratore generale di Firenze che dopo la morte di don Lorenzo ha continuato a insegnare ai suoi ragazzi, Barbiana ’65 ripercorre il contrasto del priore con giudici e vescovi sul tema della obiezione di coscienza ma sembra parlare soprattutto all’oggi, a un’epoca che scopre il “reato umanitario” o “d’altruismo” . «Ora più che mai la voce di don Milani ripropone il tema dell’obbedienza e della coscienza, della giustizia e della solidarietà», dice Alessandro D’Alessandro rimarcando il carattere civile del suo docufilm. Resta da chiedersi perché questo prezioso materiale sia rimasto finora sepolto in un archivio (tranne una manciata di minuti circolati in televisione ). «Non ho fatto a tempo a chiederlo a mio padre», racconta il regista D’Alessandro. «Credo che l’incontro con don Milani sia stato per lui così profondo da temere di tradirlo facendo del documentario un oggetto di mercimonio». L’operatore Razza, oggi ottantenne, ricorda che tornati a Roma proposero il materiale alla Rai, ma la reazione fu tiepida. «Don Lorenzo era un prete scomodo, poco amato dalle gerarchie ecclesiali». Per riprenderlo mentre scendeva dal vallo ne insieme ai suoi ragazzi. Piazza con la macchina in mano ha rischiato più volte di cadere. «Ma ne è valsa la pena: il nostro è l’unico documento che mostra don Milani mentre parla, spiega, racconta. Dopo cinquant’anni finalmente è uscito fuori».