“THE OLD OAK”, come siamo e come dovremmo essere
di Lorenzo Pierazzi
Nel 2016, quando un gruppo di profughi siriani arriva in un villaggio di minatori inglesi, l’odio e l’intolleranza oscurano la solidarietà e l’accoglienza.
In The Old Oak, Yara è una ragazza fuggita dalla Siria. Con la madre e i fratelli è giunta a Durham, una cittadina della costa inglese. Gli abitanti del villaggio, segnati dalla crisi dell’estrazione mineraria, li accolgono con ostilità e la violenza verbale scoppia con stupefacente rapidità. Un atteggiamento che contagia chiunque ma non TJ (mister Ballantyne come lo chiama con rispetto Yara), il proprietario del The Old Oak, uno scalcinato pub (con la K dell’insegna sempre in procinto di staccarsi) trasformato ben presto da clienti-giurati in un tribunale del popolo pronto ad emettere la sentenza di colpevolezza per i nuovi invasori. The Old Oak di Ken Loach è una pellicola che affronta con struggente rigore temi come la guerra, l’integrazione, la crisi sociale ed economica. E lo fa toccando vertici narrativi altissimi che in quest’annata cinematografica lo pongono sullo stesso piano di As Bestas di Rodrigo Sorogoyen, un altro film incentrato sulla “non accettazione dello straniero”.
Con The Old Oak l’ottantasettenne regista aggiunge al suo stile la saggezza della senilità e, per esaltare visivamente una storia che narra la concitazione della nostra contemporaneità, sceglie di ricorre ad una scrittura per sottrazione. Si affida, ad esempio, alla fissità del fermo-immagine nella sequenza iniziale dell’aggressione che gli uomini del paese riservano ai siriani. Prima che i pugni carichi di rabbia possano animarsi, il livore degli inospitali cittadini di Durham viene mostrato attraverso istantanee, simili a quelle dei fotoreporter dalle zone di guerra. The Old Oak non rinuncia però a rendere protagonista anche la potenza dell’immagine fotografica. Questo accade nel momento in cui mister Ballantyne presenta a Yara, attraverso gli scatti appesi al muro del suo retrobottega abbandonato, la storia della propria gente. Anni segnati dal duro lavoro nelle miniere, dagli scioperi per le rivendicazione sindacale, dai pranzi allestiti dalle donne del villaggio per mantenere l’unità sociale.
Così come una proiezione di fotografie rappresenterà un primo grande tentativo di riuscire a “fare comunità” tra le immigrate e le madri di Durham immortalate dall’obiettivo di Yara. Un tentativo che è importante conseguenza della gentilezza e bravura di Yara, ma anche della voglia, da parte di tutte le donne di Durham, di provare a integrarsi le une con le altre. La macchina fotografica della giovane siriana sarà un elemento essenziale della storia, al pari della cagnolina Marra di mister Ballantyne. Yara e TJ sono entrambi reduci da un periodo tragico della loro vita che li ha portati anche a pensare di farla finita. Adesso non se la passano molto meglio ma scattare delle fotografie ha concesso alla ragazza la possibilità di compiere il gesto liberatorio di sbarazzarsi delle immagini più dolorose, mentre la piccola fedele compagna ha offerto all’uomo una seconda possibilità.
Chiuso da una sequenza bellissima e commovente, all’insegna del “come dovremmo essere”, il mondo descritto da The Old Oak è uno specchio fedele della nostra contemporaneità attraversata soprattutto dall’odio e dalla rabbia. Eppure non dobbiamo perdere la speranza. Perché, come confida Yara a mister Ballantyne, nel dialogo più intenso del film mentre sono seduti sotto le volte della cattedrale di Durham, se “ci vuole tanta fede per continuare a sperare”, se “sperare è osceno”, non dobbiamo per questo arrenderci. Perché non abbiamo alternative, perché altrimenti il cuore “smetterà di battere”.
THE OLD OAK [The Old Oak] di Ken Loach. Con Dave Turner, Ebla Mari, Debbie Honeywood, Reuben Bainbridge, Rob Kirtley, Andy Dawson, Chris Gotts
Produzione: Sixteen Films, Studio Canal UK, Why Not Productions; Distribuzione: Lucky Red; Regno Unito, Francia, Belgio, 2023
Fonte: ToscanaOggi.it del 05/12/2023