“LA ZONA D’INTERESSE” il sottile confine che separa l’orrore dalla banale quotidianità
Jonathan Glazer ribalta la messa in scena classica dei campi di sterminio nazisti raccontando la Shoah attraverso gli occhi dei carnefici.
di Lorenzo Pierazzi
La zona d’interesse di Jonathan Glazer, tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis, narra le vicende di Rudolf Höss il comandante del campo di concentramento di Auschwitz che, come un qualsiasi borghese, vive con la propria famiglia in una villetta, con tanto di giardino e piscina, all’interno della cosiddetta das Interessengebiet, la zona d’interesse che circonda il suo mostruoso villaggio. I coniugi Rudolf e Hedwig Höss sono due personaggi tanto reali quanto surreali: sono una coppia agghiacciante che fa crescere i propri figli a pochi metri di distanza dalle atrocità che si compiono al di là del muro di cinta. Il marito è concentrato su come capitalizzare l’imminente nuovo incarico (che prevede di sterminare 700 mila ebrei ungheresi) mentre la moglie, che si definisce “la regina di Auschwitz”, è preoccupata del fatto che la promozione del coniuge la costringerà a lasciare la casa che ha arredato con tanta cura. Rudolph Höss è l’emblema di fin dove può spingersi l’aberrazione di un essere umano.
Artefice dell’impiego del gas Zyklon B e dell’idea di smaltire i corpi nei forni, gestisce Auschwitz come se si trattasse di dirigere un grande stabilimento industriale, dedicandosi ad implementare le migliori tecniche produttive (appunto, forni crematori sempre più efficienti) indispensabili per incrementare il fatturato. E se in Under the Skin, la precedente pellicola di Glazer, la protagonista era un’aliena che uccideva e prosciugava le sue vittime immergendole in un liquido nero, Rudolf Höss è, ahimè, un personaggio ancor più terribile, capace di eliminare migliaia di donne, uomini e bambini per poi la sera leggere fiabe della buonanotte ai propri figli.
La zona d’interesse è un film potentissimo che si esprime per sottrazione, in cui il visibile è la quotidiana banalità che acquista tragico significato soltanto se accostata a quanto non viene mostrato. L’opera di Glazer è una meravigliosa esperienza dell’assenza, una non rappresentazione oculare di una discesa agli inferi affidata a potenti sensazioni acustiche. Suoni e rumori metallici e angoscianti che si manifestano fin dalla lunga inquadratura iniziale, caratterizzata da uno schermo completamente scuro, prima che ci venga mostrato Rudolph Höss in una pausa di lavoro, in compagnia della famiglia e di amici, impegnato ad abbronzarsi sulle rive di un lago.
La zona d’interesse lascia un profondo segno anche per la scelta stilistica di Glazer di affidare la quasi totalità delle sequenze ad inquadrature fisse (riprese dalla quarta parete o dall’alto) illuminate attraverso una luce naturale e filmate da remoto in maniera tale da lasciare gli attori liberi di recitare senza percepire la presenza della troupe. Il campo di sterminio rimane invece zona off limits, mai mostrata. Proprio per questo, voltando idealmente lo sguardo dall’altra parte, l’innocenza dello spettatore sembra garantita, ed invece le grida dei soldati e delle vittime, il rumore dei forni crematori in azione, i colpi dei fucili che abbattono come animali i deportati, penetrano dritti al cuore, senza lasciargli scampo. Fino alle ultime inquadrature in cui il film ci lascia in eredità un messaggio sconvolgente. Siamo ai giorni nostri e le donne delle pulizie stanno lustrando con cura le vetrine del museo di Auschwitz che accolgono capelli, scarpe, valige, effetti personali delle vittime. Una manutenzione per niente partecipe, asettica. Cosa significa tutto questo? Forse che l’uomo sarà sempre capace di rendersi impermeabile all’orrore?
LA ZONA D’INTERESSE [The Zone of Interest] di Jonathan Glazer. Con Sandra Hüller, Christian Friedel, Medusa Knopf, Daniel Holzberg, Sascha Maaz, Max Beck Produzione: Extreme Emotions, A24, Film4 Productions; Distribuzione: I Wonder Pictures; Regno Unito, Polonia, 2023
Fonte: ToscanaOggi.it del 05/03/2024