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FRATELLO SOLE, SORELLA LUNA – Brother sun

Da: «Toscana Oggi», n. 37, 13 ottobre 2024, p. 21
Un nuovo «Fratello sole sorella luna» Tra pregi e qualche limite, torna (o meglio: arriva per la prima volta) sugli schermi italiani il capolavoro di Zeffirelli

Lo scorso 4 ottobre, in occasione della festa di Francesco d’Assisi, è tornato in sala, in versione restaurata, Fratello sole sorella luna, il celeberrimo film di Franco Zeffirelli del 1972 ispirato alla vita del santo. In realtà non è proprio così: quello che possiamo vedere oggi al cinema è Brother Sun Sister Moon, l’edizione internazionale che è quasi un altro film rispetto a ciò che da sempre abbiamo visto in Italia: diversa struttura narrativa, diverso montaggio, inquadrature differenti anche nelle parti comuni alle due versioni, dialoghi alternativi, altra colonna sonora e canzoni. Di fatto un nuovo film, inedito in Italia. Motivo in più per andare a vederlo, oltre che per l’ottimo lavoro di ripulitura dei negativi che restituiscono la pregnanza dei colori originali da cui emergono dettagli ormai opacizzati nei passaggi televisivi o in dvd.

Se l’edizione italiana seguiva l’ordine cronologico dei fatti, suddivisi in quattro grandi parti (la partenza di Francesco e dei suoi amici per la guerra; il ritorno di Francesco e la conversione; la vita della prima comunità francescana; l’udienza di Innocenzo III che riconosce l’ordine), questa mescola le prime due partendo dal ritorno dalla guerra di Francesco agonizzante e quasi posseduto dal Male. I suoi incubi, in forma di flash back, rimandano alla giovinezza spensierata e privilegiata, oltre al mito della guerra e delle crociate di cui anche lui era pervaso. Quella del giovane Francesco sembra davvero una possessione da cui si libera progressivamente, prima attraverso la fascinazione della natura che parla un linguaggio con cui il Creatore si rivela misteriosamente attraverso le creature; poi durante quella che dovrebbe essere la liturgia del venerdì santo quando, di fronte a un crocifisso regale, ma dagli occhi chiusi, improvvisamente Francesco si contorce e scappa dalla cattedrale vedendo per un attimo il Cristo dagli occhi spalancati. Da quel momento sembra tutto chiaro: rottura con il passato, spoliazione, follia per il suo Signore, sequela della meglio gioventù di Assisi e conseguente ostilità della città, fino al riconoscimento papale e alla diffusione del francescanesimo nel mondo.

Il film, a dispetto del grande successo popolare e di una capillare diffusione nelle comunità parrocchiali grazie alla distribuzione in 16mm da parte della Sampaolo Film, è sempre stato poco amato dalla critica per una certa pregiudiziale verso il suo autore, uomo di indubbio talento, ma anche personaggio contraddittorio e spesso urticante. Se un difetto possiamo riconoscere allo Zeffirelli regista cinematografico è l’eccesso di spettacolarizzazione e l’enfasi nella messa in scena che gli derivano dall’apprendistato ricevuto dal maestro Luchino Visconti, anch’egli spesso incapace di rinunciare all’effetto e alla ridondanza. Molti hanno liquidato questo film come un moderno santino tra campi di papaveri e canzoni orecchiabili di Donovan (mentre in italiano erano cantate da Claudio Baglioni su musiche di Riz Ortolani), versione pop del santo di Assisi occhieggiante ai figli dei fiori e alla contestazione giovanile in voga (il regista in un primo momento aveva pensato niente meno che ai Beatles per interpretare gli amici di Francesco). Il rischio di oleografia, è vero, non manca, tra volti estatici, capelli al vento ed eccessi di zoom a sottolineare le espressioni ispirate. Ma ci sono pagine pregnanti di grande valore scenico, degne di un Ejsenstejn, come l’arrivo di Ottone di Brunswick ad Assisi preceduto dalla disputa tra il console e il vescovo per chi debba consegnargli le chiavi della città: la lite riproduce in sedicesimo la lotta per le investiture in corso tra imperatore e papa. O come il contrasto tra le due liturgie: quella nella cattedrale dove i ricchi assisani sono congelati come statue mentre il vescovo celebra dando loro le spalle, e quella a San Damiano dove i poveri sono festosi, cantano in volgare, perfino gli animali partecipano e il prete sta dietro l’altare: non è difficile cogliervi un riferimento all’allora recente riforma liturgia del Vaticano II. E c’è poi la parte più complessa, quella dell’incontro tra Francesco e Innocenzo III in una San Pietro bizantina (in realtà la cattedrale di Monreale in Sicilia) divenuta ormai una corte sfarzosa più che un luogo di culto. Francesco rinuncia al suo discorso in latino e predica parti del discorso della montagna, tra lo scandalo generale. Lui e i frati rischiano di finire sul rogo, ma l’eco di quelle sante parole evangeliche risuona nell’animo del papa, che prima rimane assorto e poi alza un braccio verso l’alto. Una leggera panoramica con variazione di fuoco rivela sopra di lui il grande Cristo pantocratore che sembra richiamarlo al suo dovere di vicario. A quel punto, quasi soffocando dentro la veste dorata che lo avvolge come un bozzolo, Innocenzo ne esce con decisione e si rivela coperto solo di una candida tunica bianca: il potere spirituale si è liberato per un momento da quello temporale. È in quella veste che richiama Francesco e gli bacia i piedi in segno di umiliazione; c’è scalpore tra i prelati, ma uno di questi, da fine stratega, sostiene, guardando in macchina, che sua santità ha visto bene: riconoscendo l’ordine francescano ha individuato chi riavvicinerà i poveri alla chiesa; loro, sottinteso, potranno continuare a fare la vita di prima. La politica ha vinto: il papa rientra nel suo bozzolo dorato, Francesco se ne va ma è turbato; si volta una prima volta e il papa e la curia sono ripresi con un teleobiettivo, appiattiti come le figure del mosaico che sta loro alle spalle; poi fa pochi passi e si volta di nuovo: il grandangolo, ora, allontana da lui il pontefice che è tornato a essere solo il re di Roma. Francesco è inquadrato un’ultima volta in primo piano circondato dalle candele: è scampato al fuoco del rogo per gli eretici, ma è caduto in uno peggiore, quello della consacrazione ecclesiale che lo istituzionalizza e così ne depotenzia la rivoluzione evangelica.

Sotto questo profilo, non si può dire che il film di Zeffirelli sia un’opera riconciliata e convenzionale.

 

BROTHER SUN SISTER MOON

Regia: Franco Zeffirelli; sceneggiatura: F. Zeffirelli, Suso Cecchi d’Amico, Lina Wertmüller; fotografia (colore): Ennio Guarnieri; scenografie: Gianni Quaranta; costumi: Danilo Donati; musiche: Donovan; interpreti: Graham Faulkner, Judi Bowker, Valentina Cortese, Lee Montague, Alec Guinness, Adolfo Celi; produzione: Luciano Perugia; origine: Italia-Gran Bretagna, 1972; formato: 1,66:1; durata: 122 min.

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