Tutto cambia al mondo.
Noi assistiamo a trasformazioni di anime, di popoli e di religioni impensabili.
Bisogna che noi prepariamo più che opere, ponti;
più che prediche, dialoghi;
più che ricordi, nuove visioni di un avvenire di libertà, di pace, di giustizia.
Don Giovanni Rossi
fondatore della Pro Civitate Christiana
Sessant’anni fa usciva «Il Vangelo secondo Matteo»
Breve cronaca di come è nato il capolavoro di Pasolini, a tutt’oggi il più riuscito film dedicato a Gesù.
di Marco Vanelli
Pare che sia stato Lucio Caruso, uno dei volontari della Pro Civitate Christiana – conosciuta anche come Cittadella di Assisi – a fare il nome di Pier Paolo Pasolini in risposta alla richiesta di don Giovanni Rossi: «Tra gli uomini di cinema che operano in Italia, chi è quello più lontano dalle nostre posizioni?». A quel punto don Rossi, il fondatore della Cittadella, avrebbe aggiunto: «Va’ a cercarlo e portalo qui». Era il 1962 e fu così che avvenne il primo contatto tra il più controverso intellettuale italiano e la Cittadella, non nuova ad aperture verso la cultura laica già in anni in cui il dialogo conciliare era di là da venire.
Pasolini andò ad Assisi per partecipare al VII convegno dei cineasti, intitolato Il cinema come forza spirituale del momento presente, nei giorni 2-3 ottobre. Mentre era lì, giunse, inaspettata, la notizia della visita di Giovanni XXIII a Loreto e Assisi il 4 ottobre. Fu un evento: era dai tempi di Pio IX che un papa non usciva dal Vaticano ed era logico che la stampa e le televisioni internazionali volessero documentare l’evento. Pasolini preferì mantenere il profilo più basso possibile onde evitare speculazioni scandalistiche sulla compresenza sua e del pontefice nella piccola città umbra, così rimase nella camera della foresteria della Cittadella aspettando che la giornata passasse.
È con queste parole che il poeta-regista ricorda l’episodio: «Ero sdraiato sul letto, mi piaceva ascoltare la città che ferveva di voci e passi, che bolliva di curiosità e di felicità. […] D’istinto allungai la mano al comodino, presi il libro dei Vangeli che c’è in tutte le camere e cominciai a leggerlo dall’inizio, cioè dal primo dei quattro vangeli, quello secondo Matteo. E dalla prima pagina giunsi all’ultima […]. L’idea di un film sui Vangeli m’era venuta altre volte, ma quel film nacque lì, quel giorno, in quelle ore. E mi resi conto che, oltre alla doppia suggestione – della lettura e della colonna sonora, di quelle voci e di quelle campane – già c’era nella mia testa anche un vero nucleo e abbozzo di sceneggiatura».
Da questa folgorazione prese corpo il progetto del film che uscirà due anni dopo e che si rivelerà un capolavoro assoluto, una delle più alte espressioni cinematografiche in ambito religioso, un’opera figlia dello spirito del Vaticano II i cui lavori iniziarono a breve, l’11 ottobre. Pasolini chiese l’aiuto della Cittadella per preparare un film che si preannunciava tanto rischioso e don Giovanni, coraggiosamente, dopo aver avuto in privato l’approvazione del papa, gli garantì un sostegno senza riserve. Il regista era dichiaratamente ateo, apertamente comunista, notoriamente omosessuale: tanto bastava per attirare il sarcasmo, il disprezzo, le accuse di scandalo e corruzione da parte della stampa conservatrice e degli ambienti più resistenti alle novità conciliari in corso.
Assieme a un altro presbitero della Cittadella, don Andrea Carraro, Pasolini si recò in Israele dal 27 giugno all’11 luglio 1963, con l’idea di cercare le ambientazioni per il suo Vangelo, facendo delle riprese che daranno poi vita al documentario Sopraluoghi in Palestina. Si tratta di una sorta di introduzione al film da cui comprendiamo come la delusione per aver trovato un paese ormai industrializzato e snaturato rispetto alla sua storia portò il regista alla decisione di girare nel sud Italia, in luoghi come Matera che mantenevano ancora tutta l’arcaicità necessaria per far agire e parlare il suo Gesù che avrebbe dovuto avere tutta la concretezza di un uomo del suo tempo – ma anche del nostro –, lontanissimo dalle ricostruzioni in cartapesta dei colossal di Cinecittà e dall’oleografia che ancora oggi riduce il Vangelo a una sorta di mitologia kitsch.
La sceneggiatura, fedelissima al testo di Matteo per quanto riguarda i dialoghi, risultò libera nelle interpolazioni poetiche: il gioco iniziale di sguardi tra Giuseppe e Maria; i volti pregnanti di tutti i personaggi, presi dalla strada o scelti tra gli amici del regista; la miscela di voci dialettali e di attori di talento come Enrico Maria Salerno che, con piglio risoluto, doppia Gesù; le musiche che alternano Bach, Mozart, cori russi e la Missa Luba africana. Pasolini si sentì libero di attingere agli altri Vangeli (Maria ai piedi della croce è una specificità giovannea), come di inserire passaggi personali come quando Gesù, seguito dai discepoli, passa da Nazareth senza fermarsi di fronte alla casa di Maria che lo guarda sospirando: episodio che fa pensare al rapporto simbiotico e conflittuale a un tempo tra Pasolini e sua madre (che qui interpreta Maria). Don Carraro, don Rossi, altri consulenti, tra cui padre Taddei, dettero consigli, suggerirono tagli o aggiunte: Pasolini in parte ne tenne conto, ma procedette con la sua ispirazione realizzando «il film che tutto il mondo vedrà fino alla fine del mondo», come recitava l’azzeccata frase di lancio.
Presentato alla Mostra di Venezia nel settembre 1964, la pellicola ottenne il premio della Giuria cattolica OCIC oltre al Leone d’argento. Alla fine del mese si tenne alla Cittadella l’assegnazione del Grand Prix OCIC, cioè la rassegna di tutti i film premiati dalle giurie cattoliche nei vari festival per individuare il migliore tra i migliori: Il Vangelo secondo Matteo arrivò primo. In ottobre fu proiettato nella cattedrale di Nôtre-Dame a Parigi, mentre a Roma accadde un fatto straordinario: il film, grazie all’iniziativa del produttore Alfredo Bini, fu visto da 800 padri conciliari che applaudirono alla fine di ogni tempo, ma soprattutto alla vista della dedica che compare dopo i titoli di testa: Alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII. Il “papa buono”, involontario movente dell’ispirazione del regista, nel frattempo era morto. Per Pasolini, dunque, non restava che un gesto di riconoscenza: «L’unico, dunque al quale potevo dedicare quel film non poteva essere che lui, papa Giovanni. E a quella cara “ombra” l’ho dedicato. L’ombra che è la regale povertà della fede, non il suo contrario».
BOX
In merito alla multiforme opera di Pier Paolo Pasolini, la Cittadella di Assisi ha presentato il progetto Cerchi concentrici destinato ai giovani dai 16 ai 30 anni. Al seminario previsto per il 14-16 marzo 2025 si vuol dare la parola ai giovani. Il corpus dell’opera pasoliniana è vasto e molto diversificato, ciascuno può scegliere da che punto partire per allargare i cerchi concentrici. Chi presenterà la sua proposta di ricerca sarà invitato ad Assisi e ospitato alla Cittadella: gli sarà offerto, oltre vitto e alloggio, il rimborso delle spese di viaggio. Pasolini credeva molto nel dialogo con i lettori: nel volume Le belle bandiere sono raccolte le lettere ricevute negli anni ’60. Riprenderemo da quelle lettere la nostra riflessione sul suo lavoro, per spingere lo sguardo oltre, per continuare a pensare senza conformarci. Per informazioni: cep@cittadella.org.
I TESORI DELLA CITTADELLA
note di cronaca
di Vito Rosso
Appunti per un’orestiade africana
Il film è stato dettagliatamente presentato e commentato dal Prof. Marco Vanelli , studioso di P.P.Pasolini.
Agli intervenuti al convegno, l’organizzazione ha offerto un’esperienza singolare: la cineteca della Cittadella dispone di 3 rulli originali a 16mm del film di Pasolini. La pellicola è in buone condizioni tanto da permettere una visione ottimale. L’esperienza è stata possibile anche per la disponibilità di ACEC Toscana che ha messo a disposizione il proiettore per le pellicole di questo formato. Il presidente di ACEC Toscana, Vito Rosso, ha svolto la funzione di operatore manovrando un proiettore Cinemec di oltre 70 anni fa.
L’esperienza in sala è stata unica: il rumore della pellicola che scorre nella “croce di malta” – ingranaggio della macchina da proiezione – sottolineata da una interruzione – tipica per queste proiezioni – hanno reso estremamente verosimile la visione.
La sala Pasolini
Agata e Marco Vanelli consultano la sceneggiatura del Vangelo secondo Matteo
Gli intervenuti al convegno hanno avuto la possibilità di partecipare a una visita guidata dalla responsabile culturale Agata Diakoviez nell sala espositiva dedicata a Pasolini. I documenti presenti sono non solo numerose foto di scena anche scritti autografi così come una locandina di presentazione del film Il Vangelo secondo Matteo , forse unica esistente.
Un simpatico siparietto si è verificato durante la visita del gruppo dei partecipanti al convegno : fra le foto di scena presenti nella sala Pasolini ve ne è una riprendente la crocifissione del Cristo; ai piedi della croce vi sono rappresenta 4 donne. Marco Vanelli, presente alla visita, fa notare che il testo del Vangelo secondo Matteo non parla di 4 donne, bensì di 3, non includendo la Maria la madre di Gesù . E’ infatti il vangelo di Giovanni a testimoniare la presenza della madonna sotto la croce: Matteo e gli altri vangeli sinottici parlano di Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe e Salome (comunemente dette le “tre Marie”). Le ipotesi potevano essere diverse ma la risposta era presente in quella stessa sala: in una teca al centro della stanza è conservata la sceneggiatura utilizzata da Pasolini durante le riprese. Agata ha aperto la teca e consultato il testo; alla pagina della crocifissione una nota autografa del regista indica necessario il confrontare la descrizione dell’evento con quanto riportato dagli altri evangelisti. Evidentemente Pasolini ha preferito attenersi alla versione di Giovanni inserendo Maria ai piedi della croce. Raramente diatribe di questo genere possono essere risolte con rapidità e precisione come quella originata alla visita del gruppo nella sala dedicata all’autore.
Il MISTERO DEI RULLI
Al centro della sala Pasolini , proprio accanto alla teca contenente la sceneggiatura autografa del film Vangelo secondo Matteo, per terra, si trovano tre ‘pizze’ – tre scatole in metallo utilizzate per la conservazione e il trasporto dei film simili alle scatole di cartone utilizzate per le pizze da asporto – contenenti i rulli della pellicola del film presentato alla mostra di Venezia dove ha vinto il Leone d’argento nel 1964. Alla mostra di Venezia i registi partecipanti consegnavano due copie dei lavori presentati: una restava di proprietà della Biennale mentre l’altra veniva ripresa dall’autore.
Pasolini tornando da Venezia si è fermato alla Cittadella ivi lasciando la sua seconda copia per riconoscenza per il sostegno ricevuto da don Giovanni Rossi e dai suoi volontari.Racconta Marco Vanelli che il semiologo gesuita padre Nazareno Taddei allora in visita alla Cittadella abbia conosciuto Pasolini in quell’occasione e gli abbia fatto dei rilievi. Successivamente Taddei si è accorto che la copia vista prima a Venezia, poi ad Assisi non coincideva con quella che entrò in circolazione. Sarebbe stato semplice verificare il contenuto della pellicola e poter fare un confronto con l’edizione in circolazione, proiettando le pellicole e operando una rudimentale digitalizzazione al fine di poter fare un lavoro filologico. L’ACEC Toscana si era resa disponibile per favorire una tale operazione, ma la direzione della Cittadella ha avuto remore a procedere e l’iniziativa è saltata. Resta così il dubbio: cosa ci sarà in quei contenitori?
Altro tesoro della Cittadella è la Galleria d’arte cristiana contemporanea seconda solo a quella vaticana per la preziosità delle opere che contiene. I partecipanti al convegno hanno avuto la fortuna di partecipare ad una visita guidata da una esperta che ha contribuito alla sua creazione: Anna Nabot che alla tenera età di 87 anni ha saputo descrivere e leggere analiticamente alcune delle opere di importanti autori quali Ottone Rosai, Giorgio De Chirico, Carlo Carrà facendo comprendere il senso con cui la raccolta delle opere era stata organizzata.
La galleria d’arte
delle immagini di Cristo lavoratore
Anna ha raccontato un aneddoto vissuto in prima persona: don Giovanni Rossi, fondatore della Cittadella, ha osservato che nel raccogliere le opere di vari pittori su argomento sacro, ed, in particolare sulla figura di Gesù, non se ne trovava alcuna di Cristo lavoratore. Conoscendo la fama di De Chirico, lo contatta e gli chiede di fare un quadro in cui si possa riconoscere Cristo “al lavoro” in qualità di carpentiere, come attesta Mc 6,3. Conoscendo la fama di De Chirico, lo contatta e chiede di fare un quadro in cui si possa riconoscere Cristo ” al lavoro”. De Chirico non era credente e fece presente a don Rossi che quanto richiesto non rientrava nelle sue conoscenze così come nel suo “sentire”; comunque accettò l’incarico. Don Rossi invita De Chirico ad Assisi per lavorare alla sua opera: durante la permanenza il pittore conosce la spiritualità di Assisi, ma soprattutto riscopre la fede giungendo a una vera e propria conversione tanto che volle scegliere la Cittadella come luogo del suo matrimonio.