Non c’è problema senza soluzione per chi abbia voglia di mettersi a cercare
Lara ed Ettore sono separati. Lei è un ingegnere civile, lui un artista senza successo. Lei vive di corsa provando ansia per qualsiasi cosa. Lui sembra più che altro un immaturo che ancora non si decide a crescere. I figli reagiscono diversamente alla situazione. Emma è convinta che la madre la detesti e cerca di vivere con le proprie forze. Giacomo, che naturalmente soffre dell’incertezza, svolge comunque una funzione di mediatore. Il giorno del suo esame di licenza media i personaggi si rincorrono, si perdono e si ritrovano, riescono se non altro a vivere un momento di ritrovata unione e solidarietà. In realtà non ci importa nel dettaglio cosa sarà domani: è comunque un domani possibile.
L’evidente intenzione di Francesco Bruni di andare in controtendenza rispetto alla grande maggioranza di commedie familiari (o drammi familiari) che popolano gli schermi si riassume nella semplice procedura di cercare una soluzione ad ogni problema che affligge i suoi personaggi. Il che non significa la ricerca di un lieto fine consolatorio come accade, ad esempio, nei film Disney, ma piuttosto lo studio dei caratteri e delle situazioni in modo da offrire una via d’uscita realistica. Nel caso di “Noi 4” ciò non corrisponde a un lieto fine nel senso tradizionale del termine, ma a far sì che ogni personaggio ritrovi il proprio posto, abbatta qualche barriera, conceda agli altri un’altra possibilità, provi a vedere la vita come un percorso da compiere invece che come una guerra da combattere. Possiamo dire che, anche tenendo conto del suo primo film da regista, “Scialla!”, Francesco Bruni ha nel proprio DNA la speranza e che, anche rischiando il luogo comune e temporanei distacchi dal realismo, sembra seriamente intenzionato a non rinunciarvi.
Se mettiamo insieme “Scialla!” e “Noi 4”, risulta evidente che a Bruni stanno molto a cuore le tematiche familiari, con particolare riferimento ai rapporti tra genitori e figli. In “Noi 4” tenta un discorso omogeneo sulle molte problematiche della famiglia contemporanea e, rispetto a “Scialla!” rischia molto di più non avendo a disposizione una tematica parallela, che in quel caso era il valore dell’istruzione. Qui è vero che tutta la vicenda familiare si sviluppa intorno all’esame di terza media di Giacomo, ma si tratta semplicemente di un evento catalizzatore che serve a riunire i quattro personaggi e che potrebbe anche essere un evento diverso. Quindi restano in primo piano i caratteri dei personaggi, i loro difetti, le ragioni della separazione, l’eventualità di una riconciliazione. E questo porta con sé il rischio maggiore, quello del luogo comune. La mamma ipertesa e apprensiva, il padre infantile con ipotesi di sindrome di Peter Pan, la figlia ribelle, il figlio vittima paziente difficilmente sfuggono alla sensazione di già visto con conseguente sospetto di mancanza d’aggiornamento. Bruni lo sa, si assume il rischio e, pur non ripetendo il risultato di “Scialla!”, dà comunque l’impressione di una sincerità e di un’onestà intellettuale che gli permettono di fare la sua figura in un panorama generale nel quale trionfano i pessimisti e, soprattutto, vendono di più i fracassoni. Lui, con il suo garbo e le sue buone intenzioni prive di contraffazione, è alla ricerca di uno spazio nel quale portare avanti le proprie istanze senza necessariamente mettersi a strillare. E per questo lo apprezziamo. In fondo bisogna riconoscere che si è preso anche il rischio di far sorridere Fabrizio Gifuni per quasi tutto il film, di portare Ksenia Rappoport sul filo del melodramma tra lacrime e invettive, di lanciare un esordiente assoluto come Francesco Bracci Testasecca che lo ha ricambiato con una interpretazione (che sembra più un vissuto) quasi perfetta e di far esordire Lucrezia Guidone, con notevole esperienza teatrale, affidandole il personaggio più costruito e schematico. In un’apparizione flash si rivede anche Filippo Scicchitano di “Scialla!”. E alla fine si esce dal cinema con qualcosina da conservare.
Francesco Mininni