Il cinema s’accorge di don Milani
Dalla sceneggiatura, scritta da Luciano Lucignani per il primo lungometraggio sul parroco di Barbiana, non sfuggono i principali avvenimenti della vita di don Milani, presentato appunto come il prete scomodo. Un cenno di cronaca sullo scorcio della guerra vissuto dal giovane Milani in seminario, e subito il passaggio all’impegno di cappellano a San Donato, con le implicazioni create dalle elezioni del 1948, le reazioni alla situazione talvolta drammatica dei suoi ragazzi, fino alla creazione della « scuola popolare ». Il trasferimento a Barbiana è velocemente giustificato, mentre si annotano in fretta i successivi capitoli della storia della scuola di Barbiana, con la pubblicazione contrastata di Esperienze pastorali, le diverse geniali iniziative per il lavoro con i ragazzi, l’aggravarsi della malattia, l’incidente della lettera ai cappellani militari sugli obiettori di coscienza, l’ideazione negli ultimi mesi di vita di Lettera a una professoressa.
A livello di sceneggiatura il materiale ricavato dall’avventura di don Milani si frammenta, costituisce un insieme eterogeneo, aneddotico, talvolta casuale. Lucignani deve aver avvertito la complessità della figura di don Milani e ha tentato un lavoro di semplificazione che si avvicinasse a un esposto documentaristico (tipico il bisogno di inserire spezzoni di documentari sulle elezioni del ’48, sulla guerra di Algeria, a proposito della critica di don Milani alla stampa sul modo di trattare l’argomento, ecc.). Ma la scelta documentaristica non risolve, per la preponderanza del personaggio (Enrico Maria Salerno), il rigurgito del parlato che acquista inevitabilmente toni oratori, la perdita del senso delle circostanze e del peso dell’ambiente che dovevano essere attentamente curati per far emergere la singolarità del prete don Milani. La stessa realtà, di cui soprattutto don Milani fu animatore orgoglioso, la responsabilità collettiva formata nella scuola di San Donato e quindi a Barbiana, il rilievo della scuola come essenziale punto di riferimento per qualunque episodio e iniziativa, vengono del tutto a disperdersi nella presentazione declamata di alcuni gesti e nella facile suggestione di un momento particolare.
Scontroso e inavvicinabile rimane don Milani per un atteggiamento che sia di curiosità per certi fatti sensazionali, e non sappia che ripercorre la cronaca di un recente passato. In questo modo anche l’originalità di don Milani è livellata nella misura cronachistica e non poteva essere altrimenti. La regia non fa intuire quale durezza, quale tipo di severità, quale forma di coerenza guidasse l’azione di don Milani; tali caratteristiche del suo temperamento dovevano diversificare profondamente il linguaggio usato.
Con il suo Don Milani il giovane regista Ivan Angeli giunge alla sua prima prova con un lungometraggio; la sua ricerca è di rispettare le esigenze di un soggetto insidioso per la complessità, e suggestivo per la forza della personalità che vi domina. È raggiunto un risultato discreto per la concentrazione del ritmo del racconto che evita quell’eccesso di retorica e di oratoria che infastidivano nel film di Tosini. La novità della parola di don Milani è colta nella sua carica irritante, espressione di un temperamento che non poteva concepire tatticismi, o piegarsi a un atteggiamento diplomatico e ipocrita, ed è reazione creativa e risposta inflessibile a una serie di circostanze nelle quali il prete si era trovato a lavorare. Erano queste circostanze che richiedevano di volta in volta una presa di posizione precisa e categorica. La loro cronaca viene ridocumentata in una illustrazione che abbrevia i legami tra una fase e l’altra della vicenda di don Milani, fermandosi su quegli episodi che facevano scattare la sensibilità e il giudizio di don Milani come sacerdote e maestro (ad esempio la situazione degli operai a San Donato, ingaglioffiti nel loro sistema di passare il tempo libero, la grettezza egoistica dell’industriale che pensa soltanto ai vantaggi della sua ditta, l’incertezza e la perplessità dei giovani di fronte alle posizioni rigide assunte dall’autorità ecclesiastica.
L’immediatezza della comunicazione della parola di don Milani è data dalla familiarità delle immagini usate, per cui non c’è nulla di ricercato nella ricostruzione dell’ambiente di San Donato o nella desolazione di Barbiana. A riconferma di una quotidianità
di rapporti e di situazioni intervengono nel film, « nel ruolo di se stessi », invitati-protagonisti del metodo adottato nella scuola di don Milani, il sen. G. Arfé, padre Balducci, La Pira. E si tratta di una quotidianità di situazioni che viene soprattutto colta nell’insistenza delle riprese del gruppo di ragazzi attorno a don Milani. È un gruppo che prende consistenza per il legame con don Milani, e che sostiene la sua autonomia come autore della Lettera a una professoressa. La nascita del volume è qualcosa di casuale che capita in una stanza squallida, un elemento che rende dinamico il gruppo: responsabilizzato in un preciso impegno, rilancia brani del lavoro, che sta svolgendo, diretta- mente allo spettatore: uno dopo l’altro alcuni ragazzi, con lo sguardo in macchina, riprendono le posizioni polemiche del volume. Ed è specialmente tale sequenza costruita come « ripresa oggettiva » di una realtà che si sta evolvendo e creando, che esplicita il tentativo del film di riportare la parola di don Milani a un rapporto diretto con il fruitore del documento-cronaca: lo spettatore è trattato come un interlocutore non solo ipotetico del messaggio di don Milani.
Se in tal modo si accentua il carattere di immediatezza, nel suo impianto il film si pone da sé nel limite di uno sceneggiato televisivo. La parola di don Milani è rivissuta con un timbro affannoso dal protagonista (Edoardo Torricella), è contrapposta pesantemente a situazioni ridescritte attraverso immagini standard di una vita parrocchiale e di paese. Queste immagini, se qualificano un ambiente, certamente non eccezionale, non sono in grado di « riflettere » tutta l’originalità dell’intervento del prete di Bar- biana. Lo spettatore è interpellato da una cronaca di fatti che risultano appartenenti a un lontano passato, [gottardo blasich]
Pino Tosini, Un prete scomodo.
Fotografia (colore) Giuseppe Aquari; musica Michele Francesio; interpretai. Enrico Maria Salerno (don Milani); produz. Film Boxer; distribuì. Agora Cinematografica. Italia 1975. Ivan Angeli, Don Milani.
Fotografia (colore) Roberto D’Ettore Piazzoli; musica Alessandro Alessandroni; interpretai. Edoardo Torricella (don Milani), Claudio Gora (don Bensì), Marina Berti (la professoressa), Gaetano Arfé, Giorgio La Pira, Ernesto Balducci (nella parte di se stessi); produz. e distribuz. Italnoleggio. Italia, 1976.