UN PRETE SCOMODO – L’Avvenire 20_4_76 E. M.
Povero don Milani, e povero cinema. Del combattivo priore di Barbiana del Mugello, del suo discusso esempio di uomo e di cristiano, della sua lunga e tormentata battaglia in favore dei diseredati non è rimasto, nella biografia realizzata dal regista Tosini su sceneggiatura di Luciano Lucignani, che un magro e inerte ricordo, un resoconto diligente, ma freddo, incapace di suscitare emozioni profonde e un costruttivo dibattito.
Pur corretto sul piano della ricostruzione (la sceneggiatura è, in pratica, un « digest » degli scritti di don Milani) « Un prete scomodo » privilegia — come era facile prevedere — gli aspetti appunto « scomodi » del personaggio, in solitaria lotta per principi che all’epoca (dal ’54 al ’66, quando fu parroco e insegnante a Barbiana) apparivano certamente più « rivoluzionari » di quanto non sembrino oggi. Meno facile prevedere, forse, la più puntuale assenza di nerbo psicologico di vigore dialettico, e comunque di risalto espressivo con cui questi aspetti di don Milani sono stati rievocati nel film.
Tutto, più che « raccontato » e « ripensato » con profitto dal regista, vi è infatti semplicemente «esposto», non senza cadute nella retorica, nel melodramma, nell’ovvietà. Ne esce, anche a causa della continua presenza in campo (e fuori campo) della voce vellutata e « professionale » di Enrico Maria Salerno, un protagonista manierato e logorroico, apparentemente inconsapevole della portata e delle ragioni della sua battaglia.
Intorno a questo manichino – a cui Salerno, oltre la voce, non da altro che il suo scontato istrionismo — girano, a vuoto, personaggi anche più inconsistenti. Sicuramente qualcosa di meno e di peggio, per esempio, dei ragazzi che scrissero, ispirati da lui, la celebre « Lettera a una professoressa ».