di Ermanno Olmi
(Il villaggio di cartone) REGIA: Ermanno Olmi. SCENEGGIATURA: Ermanno Olmi, considerazioni di Claudio Magris e Gianfranco Ravasi. INTERPRETI: Michel Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, Elhadji Ibrahima Faye. FOTOGRAFIA: Fabio Olmi (Formato: Panoramico/Colore). MUSICA: Sofia Gubaidulina. PRODUZIONE: Cinema Undici in collaborazione con RAI Cinema. DISTRIBUZIONE: O1 Distribuzione. GENERE: Drammatico. ORIGINE: Italia. ANNO: 2011. DURATA: 90′. – (Junior Cinema: Young)
Un luogo periferico, da qualche parte nell’Italia di oggi. Una vecchia chiesa viene dismessa. Gli operai lavorano per staccare quadri, togliere addobbi, smontare oggetti sacri. L’anziano parroco osserva tra incredulità e sgomento. Il suo sguardo è levato “…verso il culmine del presbiterio dove la sparizione del Grande Crocefisso è il compimento ultimo dell’atto sacrilego(…). Tuttavia, di fronte allo scempio della sua chiesa, il prete avverte l’insorgere di una percezione nuova che lo sostiene…Non più la chiesa delle cerimonie liturgiche, degli altari dorati, bensì Casa di Dio dove trovano rifugio e conforto i miseri e derelitti”
….Il virgolettato sopra proposto è di Olmi stesso. Sembrava giusto riportare la sua discrezione, contenuta nelle note informative, di una trama tanto scarna nei fatti quanto intensa nelle suggestioni. Gli ‘ultimi’ del nostro tempo sono identificati da Olmi nei profughi che arrivano sulle coste italiane fuggendo da situazioni terribili e chiedono aiuto e comprensione. L’extracomunitario, l’immigrato, il clandestino mettono oggi a dura prova la nostra capacità di dimostrarci cittadini del mondo. E se il tessuto politico-legislativo-burocratico appare talvolta incerto, indeciso, frenato da sterili contrasti, il richiamo evangelico ha il dovere di elevarsi alto e forte, di gridare il bisogno di un’unica famiglia umana, di ribadire che le porte del Signore sono sempre aperte. Tutto si svolge in interni, tra le pareti della chiesa e della sacrestia, tra le ombre che offuscano la mente e le luci che accendono il cuore. Olmi torna al cinema asciutto della meditazione e della preghiera. Come il protagonista, anche il regista è stanco, affaticato, in qualche momento forse meno incisivo, ma la carica di spiritualità che emana dalle immagini è intatta e interpella tutti. Il film risulta adatto per approfondire tematiche alte, attuali e si presenta come un approccio intenso, interiore, solidale agli argomenti che segnano la vita quotidiana in Italia.
* A chi gli chiede se con il suo film non rischi di ridurre il cattolicesimo al solo concetto di accoglienza, Olmi risponde: «Ma cos’è più importante dell’accoglienza? La sacralità dei simboli? Il simbolo deve rimandare a una realtà di carne per avere valore. Non è possibile genuflettersi davanti a un Cristo di cartone o di legno se poi non si mostra solidarietà per chi soffre». E sulla scelta di includere nel gruppo di migranti che ritrova asilo nella chiesa anche un terrorista con tanto di cintura esplosiva, spiega: «Il mio non è un film realistico e ogni presenza è simbolica. Il ragazzo decide di accettare l’atto violento come un dovere per non dialogare con l’altro. Ma solo dal confronto e dal dialogo con gli altri possiamo davvero capire chi siamo». «Quando la carità è un rischio, proprio quello è il momento di fare carità». Il senso dell’ultimo film di Ermanno Olmi è contenuto tutto in questa frase che ci riporta a uno dei temi chiave del cinema dell’ottantenne regista. Affrontato, però, questa volta in maniera per certi versi «rivoluzionaria». «Noi non dovremmo aiutare qualcuno solo perché ha bisogno, ma perché è nostro amico. ‘Io vi ho chiamati amici’, dice Gesù. Solo questa coerenza dona vera libertà» afferma Olmi. La carità diventa così la scoperta nell’altro della propria felicità. Gesto d’amore quasi estremo, l’unico capace di spalancare davvero le porte del futuro per l’umanità intera.
CLASSIFICAZIONE FILM: YoungTipologia Utilizzo: MIRATO