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LA PRIMA NEVE

di Andrea Segre

(La prima neve) REGIA: Andrea Segre. SCENEGGIATURA: Marco Pettenello, Andrea Segre. INTERPRETI: Jean Christophe Folly, Matteo Marchel, Anita Caprioli, Peter Mitterrutzner, Giuseppe Battiston. FOTOGRAFIA: Luga Bigazzi (Formato: Cinemascope/Colore). MUSICA: Piccola Bottega Baltazar. PRODUZIONE: Francesco Bonsembiante, Marco Paolini per Jolefilm con RAI Cinema. DISTRIBUZIONE: Parthenos. GENERE: Drammatico. ORIGINE: Italia. ANNO: 2013. DURATA: 105’. – (Junior Cinema: Teens – Young)

 

La prima neve è quella che tutti in valle aspettano. È quella che trasforma i colori, le forme, i contorni. Dani però non ha mai visto la neve. Dani è nato in Togo, ed è arrivato in Italia in fuga dalla guerra in Libia. È ospite di una casa di accoglienza a Pergine, paesino nelle montagne del Trentino, ai piedi della valle dei Mocheni. Ha una figlia di un anno, di cui però non riesce a occuparsi. C’è qualcosa che lo blocca, un dolore profondo. Dani viene invitato a lavorare nel laboratorio di Pietro, un vecchio falegname e apicoltore della valle, che vive in un maso di montagna insieme alla nuora Elisa e al nipote Michele, un ragazzino di 10 anni la cui irrequietezza colpisce subito Dani. Il padre di Michele è morto da poco, lasciando un grande vuoto nella vita del ragazzino, che vive con conflitto e tensione il rapporto con la madre e cerca invece supporto e amicizia nello zio Fabio. La neve prima o poi arriverà e non rimane molto tempo per riparare le arnie e raccogliere la legna. Un tempo breve e necessario, che permette a dolori e silenzi di diventare occasioni per capire e conoscere. Un tempo per lasciare che le foglie, gli alberi e i boschi si preparino a cambiare. In quel tempo e in quei boschi, prima della neve, Dani e Michele potranno imparare ad ascoltarsi… Andrea Segre ha realizzato documentari prima di debuttare nella finzione con il notevolissimo ‘Io sono Li’. Ora la sua opera seconda La prima neve torna, ancora come nel primo film, con modalità originali e indirette, a investire il tema dell’immigrazione e dell’integrazione. Un cinema, questo di Andrea Segre (veneziano, trentasettenne) che appare abbastanza in sintonia, per esempio, con quello di Giorgio Diritti (natura maestosa, silenzi, lentezze), e che forse ha ascoltato la lezione del cinema di Ermanno Olmi. Un cinema che, ingannevolmente, può sembrare a prima vista ‘documentaristico’ e poco elaborato, mentre è vero il contrario (un tocco importante lo dà sicuramente la fotografia di Luca Bigazzi). Certamente, la lezione della pratica documentaria ha il suo peso e interagisce con la costruzione, la narrazione, la finzione e con l’altro, fondamentale elemento: la natura, vista e sentita per quello che è: bella e struggente ma anche portatrice di minacce e pericoli.

* Il film può essere spunto per riflessioni su temi importanti come l’immigrazione, la comprensione tra persone di origine ed etnie diverse, il rispetto e il rapporto diretto con la natura. Tutti temi da sviluppare con una visione guidata e in occasioni mirate di riflessione e confronto anche a livello scolastico. La regia è acerba ma consapevole. Rivela, fin dalla prima inquadratura ad altezza bambino, un approccio non giudicante. La natura stessa, con la quale i protagonisti del film vivono in simbiosi, offre un modello di solidarietà e di etica. Gli uomini appaiono come alberi che sono preziosi pure quando vengono strappati alle loro radici. Allora diventano legna, arnie, vasi e case. Tutto si tiene dentro l’ordine del mondo. Non c’è inverno che duri senza annunciare la nuova stagione. La prima neve è una promessa di primavera.

Giuliano Fontani

 

LA PRIMA NEVE

 

Difficilmente capita di parlare di un film di alta qualità quale questo.
Andrea Segre ,sceneggiatore e regista al suo secondo lavoro cinematografico, ci racconta di un giovane negro che proveniente dal Togo giunge in una bellissima valle del Trentino  – Val di Mocheni – arrivato in Italia in uno dei tanti barconi che partono dalla Libia. Durante il percorso la giovane moglie, incinta di otto mesi soffre tanti e tali patimenti che giunta in Italia alla luce la sua bimba e muore. Dani,il padre, si considera la causa della sciagura e non riesce ad accettare il ruolo che la natura e la piccola gli impongono: la tentazione ovvia è quella della fuga.

Accanto a questa storia , Segre ne pone una speculare ambientata in una famiglia trentina, dove un bimbo non riesce ad accettare la morte del padre avvenuta per disgrazia in montagna. Le due storie si incontrano e si compongono in una semplicità tale che i dialoghi stessi sono essenziali ed efficaci. Dani viene preso a lavoro dal nonno del bimbo Michele ed è accolto con quella affabilità e quella essenzialità propria della gente di montagna: presto diviene uno di casa.

Due drammi vengono così in contatto e la loro evoluzione rappresenta il tema del film: non serve chiudersi nel proprio dolore ma bisogna affrontare la realtà e prendersi le proprie responsabilità.

Il film è singolare anche perché , pur utilizzando alcuni stereotipi propri delle tematiche legate all’immigrazione non ne fa un discorso di razzismo ,ma anzi , proprio nel non parlarne, ne sottolinea la capacità della brava gente a non considerarlo neppure un problema: il nostro protagonista poteva essere bianco e nulla sarebbe cambiato nella storia.

Anche a livello di lettura strutturale , il film è perfetto nello sviluppo psicologico dei due protagonisti che lentamente convergono in una metanoia di crescita.

Bellissima anche la fotografia su spettacoli della natura che in quei posti è anche troppo facile realizzare per non parlare dei lunghi silenzi che seguono i momenti chiave e lasciano il tempo allo spettatore di riflettere su quanto appena detto e sugli eventi raccontati. Eccellenti sono anche i personaggi di contorno alla storia: Il nonno – Peter Mitterrutzner – , la mamma di Michele – Anita Caprioli – ma anche i giovani amici con cui il nostro bravissimo protagonista – Matteo Marche – compie le prime ‘marachelle’; non ultimo Giuseppe Battiston nel ruolo dell’amico ‘grande’ mai cresciuto abbastanza e che sogna, come Dani – Jean Christophe Folly – , di risolvere i suoi problemi fuggendo in un paese lontano.

Il film è decisamente da consigliare sia per le visioni normali che in occasione di incontri prestandosi eccellentemente per affrontare tematiche relative all’importanza di sapersi prendere le proprie responsabilità , non ultime quelle legate all’integrazione ed alle differenze raziali,non trattate se non marginalmente nel film,ma proprio per questo presentate come elementi naturali della storia.

Vito Rosso

LA PRIMA NEVE di Andrea Segre

Andrea Segre è più documentarista che regista di opere di finzione. Attivo dal 1998 nel campo del documentario, e più specificamente del documentario etnico, ha esordito nel 2011 come regista di lungometraggi di finzione con Io sono Li, storia del difficile inserimento di una donna cinese nella realtà provinciale di Chioggia. Adesso, con La prima neve, si sposta in Trentino Alto Adige, in Val di Mocheni dove si parlano sia il dialetto ladino che uno tedesco di origine bavarese, e tenta la convergenza tra due diverse solitudini e due diversi modi di elaborare il dolore. Da una parte Michele, un ragazzino del luogo che ha perso il padre, dall’altra Dani, africano del Togo che ha perso la moglie. Due cose si evidenziano dal film: da una parte la vocazione documentaristica di Segre, dall’altra la sua difficoltà di sposare questa caratteristica alla narrazione tradizionale.

Michele non ha mai accettato la morte del padre, della quale sembra in qualche modo incolpare la madre Elisa. Dani ha una figlia di pochi mesi, Fatu. Sua moglie Laila è morta dandola alla luce e questo rappresenta un problema: Fatu gliela ricorda troppo per consentirgli di amarla veramente. Così da una parte c’è un ragazzino che, agitato da emozioni totalmente interiori, ha grandi difficoltà a relazionarsi con la madre e quindi a intraprendere un cammino di crescita. Dall’altra c’è un uomo molto lontano da casa che attende i documenti per regolarizzarsi, sogna di andare a Parigi dove ha qualche amico e soprattutto tenta, prima inconsciamente poi con una istintiva consapevolezza, di liberarsi dei ricordi che potrebbero ostacolarlo, anche se questo equivale ad abbandonare una figlia lasciandola in affidamento a qualcuno. In questo percorso complesso finisce per giocare un ruolo fondamentale l’aspetto ambientale: i boschi, il legno, le vallate e, per ultima, la prima neve (che Dani non ha mai visto), guideranno Michele e Dani a una piena consapevolezza e a un’assunzione di responsabilità verso gli altri e quindi verso la vita.

Le intenzioni di Segre sono sempre buone. Qui, rispetto a Io sono Li, si moltiplica la complessità dei rapporti umani ma cresce anche una remota consapevolezza che col procedere del racconto si fa sempre più precisa: che cioè la presenza di Dani in Val di Mocheni non abbia alcunché di naturale, ma sia strettamente funzionale al percorso di Michele. Come dire che ne La prima neve il centro del racconto è proprio il ragazzino e che tutti gli altri personaggi ci sono e si muovono in funzione sua. Questo, tanto per cominciare, allontana il film dalla tematica di convivenza tra razze, di emigrazione e di minoranze etniche che sembrava avere in partenza. Ma soprattutto porta La prima neve verso una destinazione melodrammatica che rende il Trentino Alto Adige più vicino a uno sfondo da cartolina e l’indole documentaristica di Segre più simile a un compiaciuto estetismo. Si noterà come, per risolvere i problemi dei personaggi, l’autore si serva di eventi e situazioni forse plausibili da un punto di vista narrativo, ma troppo semplificanti sotto l’aspetto psicologico. Così La prima neve diventa un doppio romanzo familiare dalla soluzione abbastanza prevedibile e dalla credibilità ridotta ai minimi termini. Se proprio dobbiamo ricordare qualcosa, tocca tornare ai bei paesaggi trentini sparsi a profusione ben oltre la necessità simbolica e psicologica. Qualche nota positiva dagli attori: Jean-Christophe Folly (Dani) è forte di un’esperienza francese agli ordini, tra gli altri, di Alain Resnais e Costa-Gavras. Anita Caprioli (Elisa) è una madre forse troppo smarrita e priva di polso. Matteo Marchel (Michele) ha la forza dell’esordiente grintoso. Ma Andrea Segre, che ha delle qualità, deve ancora studiare il modo migliore per farle fruttare.

Francesco Mininni

 

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