“QUI RIDO IO” una vita vissuta come un eterno palcoscenico
di Lorenzo Pierazzi
Mario Martone rende omaggio al mito di Eduardo Scarpetta, dominatore incontrastato del teatro napoletano tra Ottocento e Novecento
Con Qui rido io, Mario Martone realizza un inno all’arte partenopea. L’ultima fatica del regista napoletano è incentrata sulla figura del commediografo Eduardo Scarpetta, colto nel pieno del suo successo ma anche della sua
megalomania, alimentata da un pubblico affezionatissimo disposto a tutto pur di poter avere un biglietto per i suoi spettacoli. La pellicola si concentra sulla vicenda giudiziaria che vide coinvolto il capostipite della famiglia Scarpetta De Filippo in un contenzioso con il sommopoeta Gabriele D’Annunzio che lo denunciò per contraffazione in merito a una revisione comica della celebre «La figlia di Iorio» (trasformata in una irriverente «Il figlio di Iorio»). Contro il comico napoletano si schierarono anche alcuni letterati del tempo, fra cui Libero Bovio e Salvatore Di Giacomo, mentre al suo fianco rimase soltanto Benedetto Croce. Ricostruendo gli accadimenti legati al processo, Martone trae spunto per mostrare ben altro, per disegnare un affresco roboante e multicolore della storia del famoso artista. Perché Eduardo Scarpetta era funambolico, sfrontato (sapeva di essere il migliore, «Io l’agg ucciso, ‘a Pulcinella») e non temeva il confronto con nessuno («La forza mia, è o’ pubblico!»). Nella magistrale interpretazione di Toni Servillo, Scarpetta si comporta come il padre-padrone della compagnia e della famiglia allargata, dove si perde il conto delle donne che lo amano e che lo hanno amato, dei figli legittimi e di quelli illegittimi. Ogni volta che veste i panni di Felice Sciosciammocca (tra le sue opere, ricordiamo «Miseria e Nobiltà», «Nu turco napulitano») il Servillo-Scarpetta diventa per tutti una preziosa fonte di emozioni, ma soprattutto un uomo di spettacolo completo ed eclettico che tramanderà la sua arte a intere generazioni. A partire dal figlio prediletto (ma non riconosciuto) Eduardo De Filippo, un predestinato fin dal nome di battesimo. In Qui rido io (che si ispira all’iscrizione sulla facciata di villa La Santarella) si fa fatica a distinguere tra finzione e realtà, ma forse la spiegazione sta in una vita vissuta come se Eduardo si trovasse costantemente su un palcoscenico, dove le gioie e i dolori, il dramma e la commedia si alternano a ritmo frenetico. Aldilà della presenza costante di una colonna sonora che attinge al miglior repertorio della canzone napoletana, in Qui rido io tutto è musica e ritmo. Lo sono i dialoghi (dove il dialetto si fa melodia calda e avvolgente), ma lo sono anche i colori della città, le luci dei teatri, i vestiti sgargianti, il cibo in tavola. Travolgente la sequenza dove Scarpetta distribuisce ai commensali differenti porzioni del sartù di riso a seconda della differente stima che nutre nei loro confronti (grande per il piccolo Eduardo, risicata per Peppino, ostile verso lo zio). Degno di un crescendo rossiniano, il monologo finale in tribunale (dove si parla in italiano, ma non è la stessa musica!) a difesa della parodia incriminata, dove la sovrapposizione tra uomo e attore diventa ancor più netta, nitida, sbalorditiva. E se la prima sequenza del film mostra un’opera originale dei fratelli Lumière, significa che Qui rido io è anche un intenso omaggio all’arte cinematografica.
Siamo nel 1898 e gli eredi della lanterna magica hanno inviato a Napoli un loro operatore per riprendere un’eruzione del Vesuvio. Un frammento di pochi minuti che, nel segno della vulcanica gioia di vivere dell’arte napoletana, salda indissolubilmente il cinema di Martone ai
pionieri della settima arte.
QUI RIDO IO di Mario Martone. Con Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Antonia Truppo, Lino Musella, Paolo Pierobon, Gianfelice Imparato, Iaia Forte. Produzione: Indigo Film.
fonte: Toscana Oggi, edizione del 03/10/2021