Melodramma e vita nudi e crudi
nel nuovo inizio di Almodóvar
Julieta, sul punto di lasciare Madrid per il Portogallo dove si trasferirà con l’uomo che ama, incontra Beatriz, amica del cuore della figlia Antía. Questa è assente dalla Spagna da dodici anni e Julieta, che pur tentando non ha mai avuto contatti con lei, stava evidentemente per accantonare la pratica. L’incontro con Beatriz risveglia ricordi, privazioni, assenze e desideri, al punto che Julieta rinunzia al Portogallo, lascia la casa in cui abita e torna nel palazzo nel quale ha abitato con la figlia. Da qui è tutto un intrecciarsi di memorie, incontri, domande e qualche risposta che la porteranno finalmente alla possibilità di un nuovo inizio: una lettera, diversamente dalle altre ricevute, con mittente e indirizzo.
Se dopo due film altamente contraddittori e, per motivi opposti, spiazzanti come “La pelle che abito” e “Gli amanti passeggeri”, Almodóvar torna alle tematiche familiari, al melodramma e all’universo femminile che predilige con un film che doveva intitolarsi “Silencio”, si impone come minimo una riflessione iniziale. Diciamo che nei due film precedenti l’autore spagnolo abbia percorso due strade diverse: in un caso un melodramma horror glaciale e insolitamente distante dai personaggi, nell’altro un tentativo di ritorno alle origini con un simbolismo provocatorio e personaggi paradossali e sopra le righe. E diciamo che questo percorso gli sia servito per accantonare esperimenti discutibili e uno stile che probabilmente non gli appartiene più. “Julieta” diventa allora un nuovo inizio. Ripercorrere cioè tematiche conosciute e trattate secondo la tecnica dell’eccesso con una nuova ottica in cui fanno bella mostra di sé sottrazione ed equilibrio. Rispetto a quanto ci aveva abituati Almodóvar, insomma, un percorso contraddistinto dal silenzio (da cui la simbologia del primo titolo, che è anche quello di uno dei tre racconti di Alice Munro che hanno ispirato il regista) e dalla ricerca di un contatto umano che resta in buona parte inafferrabile. I colori di “Tutto su mia madre” e le bizzarrie concentriche di “Parla con lei” lasciano il posto a un universo nudo e crudo nel quale l’amato melodramma, che pure è ben presente, si piega alle esigenze della verità e manca completamente di una delle sue caratteristiche principali che, da Sirk a Minnelli, era conosciuta come “fiammeggiante”.
Apparentemente “Julieta” potrebbe essere un’appendice a “Tutto su mia madre”. Ma è soltanto apparenza. Mentre in quel film il nodo centrale era rappresentato dalla ricerca del padre (o dei padri), qui la questione maschile è accantonata presto. Lo sconosciuto del treno si suicida innescando veri o presunti sensi di colpa. Xoan, padre di Antía, muore sulla sua barca nel mare in tempesta. Lorenzo, attuale amante, è sostituito dalla ricerca della figlia come antidoto a una colpa che difficilmente potrà essere espiata. La stoffa rossa su cui scorrono i titoli di testa non è il colore della passione, troppo breve, ma del rimorso, incancellabile. E sul cammino, per evitare intermezzi consolatori, la donna incontrerà soltanto persone pronte a giudicarla e condannarla, al punto da trasmettere (suo malgrado?) il senso di colpa alla figlia, che diversamente da lei sceglierà la fuga. Tutto questo è raccontato da Almodóvar senza squilli di trombe, con uno stile asciutto che tiene a distanza la passione e concede tutt’al più qualche precisa reminiscenza cinematografica (la governante interpretata da Rossy De Palma, diretta discendente della Miss Danvers di “Rebecca”) che non aiuta a scrollarsi di dosso il fardello della vita. In questo senso è illuminante la scelta finale di non mostrare il ricongiungimento di madre e figlia, accomunate da un destino poco benevolo. “Julieta” si chiude sul viaggio e su uno scambio di battute tra Julieta e Lorenzo. “E se non mi volesse vedere?”. “Ti ha mandato il mittente, no?”. “Non le chiederò niente”. Niente di melodrammatico: una remota speranza che sfuma sui titoli di coda. Almodóvar resta un narratore capace ed evocativo. L’universo a lui più caro e familiare è quello femminile. Ma i toni sono più scuri, quasi un esperimento di realismo dopo anni di bizzarrie. Attendiamo conferme.
di Francesco Mininni
JULIETA (Id.) di Pedro Almodóvar. Con Emma Suarèz, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Dario Grandinetti. SPAGNA 2016; Drammatico; Colore