35 anni dopo Los Angeles non è solo piovosa: è buia:
tornano i replicanti e sono un esercito
I replicanti ci sono ancora, anzi si sono moltiplicati e perfezionati. Ma K, un replicante di ultima generazione non più uscito dalla Tyrell Corporation (messa fuori legge), ma dal potere creativo di Niander Wallace (cieco, guarda un po’) che ha dato vita a replicanti perfetti e soprattutto obbedienti, ha l’incarico di rintracciare i vecchi sopravvissuti e di eliminarli. E c’è ancora anche Rick Deckard che, pur invecchiato e quasi finito a vivere di ricordi (tra cui gli ologrammi di Frank Sinatra ed Elvis Presley), nasconde un segreto che potrebbe cambiare le cose a livello globale. C’è chi vive, chi muore e chi resta nell’ombra per organizzare una rivolta. Ma questa è un’altra storia.
Quando nel 1968 scrisse il racconto “Il cacciatore di androidi” (Do Androids Dream of Electric Sheep?), Philip K. Dick non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe diventato il punto di partenza di un film, “Blade Runner”, universalmente considerato una pietra miliare della fantascienza di tutti i tempi. A dire la verità, più che di fantascienza come siamo abituati a considerarla, il film di Ridley Scott può essere considerato un dramma esistenziale con propensione per il noir e numerose implicazioni psicologiche. E, a nostro parere, è anche un film enormemente sopravvalutato che il sequel di Denis Villeneuve, “Blade Runner 2049”, contribuisce ad appesantire di dubbi e ambiguità. Sono passati trentacinque anni da “Blade Runner”, il racconto di Dick non c’entra più niente (o comunque c’entra ancora meno di quanto c’entrasse con l’originale), Ridley Scott rimane come produttore e la Los Angeles che ricordavamo perennemente piovosa e illuminata dalle luci al neon della pubblicità è diventata proprio buia. Ecco, il primo intento di Villeneuve è stato quello di far percepire lo scorrere del tempo con segnali inequivocabilmente cupi e pessimisti.
Non possiamo dire di più. Villeneuve si è raccomandato di non raccontare dettagliatamente la storia del film (un po’ come fece Hitchcock con “Psyco”) perché certe rivelazioni devono essere acquisite progressivamente dal pubblico senza conoscerle prima. E dunque ci troviamo al cospetto di un film che annuncia sorprese. Ma allo stesso tempo si tratta di un film che dilata all’inverosimile il narrato forse per rendere l’idea di quanto ci mettano i protagonisti a chiarirsi le idee. Sempre che ci riescano. Quindi “Blade Runner 2049”, più dell’originale che a rigor di termini raccontava di una caccia all’uomo (pardon, al replicante), si pone come un’impresa coraggiosa e rischiosissima: scommette tutto sullo stile e propone una durata di due ore e quaranta con due soli avvenimenti da raccontare. È indiscutibile che Villeneuve abbia uno stile riconoscibile e avvolgente, ma lo è altrettanto che il minutaggio conta e che non è detto che il pubblico sia disposto a seguire un ragionamento talmente diluito da rischiare di perdere l’orientamento. Che Roger Deakins sia un direttore della fotografia magistrale è cosa nota. Che Hans Zimmer sia un musicista esperto e raffinato lo è altrettanto. E lo è anche che attori come Ryan Gosling (K) e Harrison Ford (Deckard) siano in grado di reggere la scena pur con una gamma espressiva limitata. Ma, arrivati alla fine, si percepisce che la rivolta dei replicanti sarà probabilmente materia per un terzo film, che le rivelazioni non sono così eclatanti, che Villeneuve è stato molto più incisivo in “Arrival” e soprattutto che la rivelazione definitiva che Rick Deckard (che respira liberamente in un territorio nel quale gli umani hanno bisogno della maschera) è effettivamente un replicante (come Ridley Scott va dicendo da anni con le successive versioni allungate del suo film) toglie anche molto fascino al confronto con Rutger Hauer che chiudeva il primo film e che ha contribuito a farne un mito. Cioè, se un replicante si sacrifica per salvare un uomo è un conto, ma se lo fa per salvare un altro replicante la storia cambia aspetto. Non eravamo fan senza condizioni di “Blade Runner” e non lo siamo di “Blade Runner 2049”, i cui meriti formali non bastano a pareggiare i conti.
di Francesco Mininni
BLADE RUNNER 2049 (Id.) di Denis Villeneuve. Con Ryan Gosling, Jared Leto, Ana de Armas, Robin Wright, Harrison Ford, Carla Juri. USA 2017; Fantascienza; Colore