Un film contro l’omofobia ma anche contro un certo modo di operare dei signori del farmaco.
Sesso,droga,alcool e piccole truffe sono il contesto in cui vive Ron Woodroof , il protagonista di Dallas Buyers Club, ancora una volta un personaggio tratto dalla vita reale.
Il film ci riporta a metà degli anni ottanta quando irruppe sulla scena mondiale lo spettro dell’AIDS scatenando tutte quelle fobie di cui furono prime vittime gli omosessuali.
Fu così che un uomo , convinto sostenitore dei rapporti etero, si scopre infettato dall’HIV e la prognosi dei medici si racchiude in poche parole ‘sistemi le sue cose perché le restano 30 giorni di vita”.
Certamente una situazione di questo genere potrebbe condurre alla depressione ma per il nostro protagonista costituisce lo stimolo ad iniziare una ricerca di tutto ciò che può guarirlo o ,almeno, migliorargli la qualità di vita allungandola il più possibile.
In questa ricerca Ron incontra Rayon (Jared Leto) un vero omosessuale anch’egli destinato ad essere vittima dell’AIDS;è la carica di umanità di questo personaggio che riesce a sconfiggere l’omofobia insita in Ron tanto che la scena dell’abbraccio fra Ron e Rayon è quasi liberatoria di una tensione psicologica dello spettatore che condanna , nel suo subconscio, questa forma di discriminazione e di ingiustizia.
Il film, che se fosse stato realizzato trenta anni fa sarebbe stato veramente di rottura nei confronti di una mentalità corrente verso gli omosessuali , è comunque un’accusa chiara verso i pregiudizi sociali che spesso troppo facilmente si generano nelle persone.
Leggere,però, il film unicamente in questa chiave vuol dire menomarlo di un elemento importantissimo : vorrebbe dire cioè non considerare la vicenda in cui si colloca il racconto.
Ron cerca i farmaci alternativi alla sua cura , ma gli interessi delle case farmaceutiche in connubio con i primari ospedalieri e con le forze dell’ordine non possono permettere che qualcuno metta a rischio la loro fonte di guadagno.
L’accusa verso il corrotto mondo delle ricerche farmaceutiche è preciso e richiama tanto alla mente anche i fatti italiani dei casi Di Bella e Stamina in cui il mondo ufficiale e le multinazionali del farmaco non ammettono che si interferisca su ambiti in cui il controllo deve essere ben esercitato , naturalmente per salvagurdare la salute del cittadino.
Ma visto che i fatti smentiscono le versioni ufficiali – il nostro protagonista sopravvive ,nella realtà e nel racconto filmico , sette anni ai trenta giorni prognosticati – il regista riesce a porre veramente il tema del sistema di test dei medicinali,ma soprattutto di quel mondo corrotto di gestione del farmaco che deve essere lucroso anche contro la salute delle cavie umane.
Singolare la risposta del giudice alla cui corte Ron si era rivolto: si riconosce il diritto che un malato terminale possa servirsi di qualsiasi farmaco ma non il diritto a procurarselo in uno stato che non ne ha ufficializzato l’uso: quasi una contraddizione in termini.E’ proprio questo l’aspetto che il film rappresenta ed approfondisce in modo egregio tanto che le 6 nomination all’OSCAR 2014 sono più che giustificate senza dimenticare l’ottima caratterizzazione di Ron interpretato da Matthew McConaughey.
Vito Rosso
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Omofobia, sieropositività e Aids: come passare dal “fai da te” al “fai per gli altri”
Nella seconda metà degli anni Ottanta, Ron Woodroof, che ha sempre associato l’Aids ai “maledetti finocchi”, si scopre affetto dal male e, pur non essendo un uomo di scienza, comincia ad informarsi e, automaticamente, a cambiare qualcuno dei suoi atteggiamenti. Convinto che il medicinale ufficiale contro l’Aids, l’AZT, sia più nocivo che altro, segue le indicazioni del dottor Vass, radiato dall’albo, e assume sostanze alternative non autorizzate dall’FDA. E fa di più: oltre ad assumerle, le importa illegalmente e si mette in società con il transessuale Rayon fondando il Dallas Buyers Club che assicura i medicinali agli ammalati dietro versamento di un abbonamento mensile. Osteggiato da tutte le autorità, capito soltanto dalla dottoressa Saks, portato più volte in carcere e in tribunale, otterrà il risultato di far deplorare dal giudice determinati comportamenti dell’autorità sanitaria e di rendere legali alcuni dei farmaci “proibiti”. E vivrà anche sette anni in più rispetto alla diagnosi del dottor Sevard.
Ci vuole un po’ di tempo per entrare in “Dallas Buyers Club” e comprendere i suoi reali intenti. E questo, indipendentemente dalla perizia del regista Jean-Marc Vallée, dalla bravura del protagonista Matthew McConaughey e dei comprimari, da nobili intenti che emergono strada facendo, non depone esattamente a favore del film. Nel senso che, a livello strutturale, il film appare drasticamente diviso in due parti: la prima che affronta il problema di un texano omofobo che sbarca il lunario gareggiando e scommettendo nei rodeo e che da un giorno all’altro si ritrova positivo all’HIV e, a seguito di una scriteriata terapia fai da te, ammalato di Aids; la seconda che mette in discussione il sistema sanitario americano puntando il dito soprattutto contro l’FDA (Food and Drug Administration), l’organismo che decide sulla legittimità o meno della commercializzazione dei farmaci, cui il protagonista Ron Woodroof assesterà un fiero colpo smascherandone alcune procedure illecite e rendendo legali alcuni farmaci alternativi. La suddivisione in due, naturalmente, non esclude un minimo comune denominatore, ovvero Ron Woodroof, ovvero Matthew McConaughey che si è appassionato a un progetto partito nel 1997, è riuscito a vederlo realizzato e, per forza di cose, ha avuto nel film stesso uno spazio illimitato lasciando tutti gli altri (anche Jared Leto e Jennifer Garner, che avrebbero richiesto un’attenzione maggiore) sullo sfondo. Quindi le nobili intenzioni si affiancano a un’operazione comunque autoreferenziante: anche se McConaughey, nell’impersonare Woodroof, si guarda bene dallo smussare angoli, asprezze, rozzezze e antipatie, è comunque presente un narcisismo di fondo che rende “Dallas Buyers Club” un one man show con destinazione Oscar.
E’ evidente che uno spettatore afflitto da pregiudizi di diversa natura non potrà mai ricevere da “Dallas Buyers Club” quel che di buono ha da offrire. Innanzitutto la presenza di personaggi borderline come Rayon oppure l’idea che per aprire una falla nel sistema sanitario americano sia stata necessaria l’opera di un truffatore di poco spessore. Certo, il moralista assoluto potrebbe anche leggere l’Aids di Woodroof come una sorta di punizione divina per le sue colpe e come la conseguente apertura di una strada di redenzione verso una santità molto sopra le righe. Potremmo obiettare che, a parte l’acquisizione di informazioni su Aids e medicinali che rendono Ron una specie di enciclopedia vivente, dal momento della diagnosi a quello della morte Woodroof non ha cambiato una virgola della propria esistenza: alcool, droga e tabacco in quantità industriali, soltanto qualche frenata nell’attività sessuale. A cambiare, in realtà, è qualcosa dentro di lui che lo porta a considerare il prossimo non soltanto come fonte di guadagno ma anche come entità concreta e bisognosa di aiuto. E bisogna dire che McConaughey è riuscito a farlo capire.
Francesco Mininni