“DOSTOEVSKIJ” un viaggio all’inferno di sola andata.
di Marco Vanelli
Concepito come un lunghissimo film, anche se destinato a diventare una serie tv, «Dostoevskij» è un’esperienza sgradevole che, pastoralmente, può risultare utile per capire un presente dominato dalla bruttezza
A cose normali non ci occuperemmo di un film come questo, decisamente «fuori target» rispetto alla nostra testata. Eppure merita cogliere qualche spunto di riflessione che la visione (più di cinque ore di proiezione, in due parti, in sala; sei episodi in autunno su Sky) di quest’opera sgradevole, sporca, a tratti malata, offre a una lettura non superficiale.
Chi scrive ha già proposto altre esplorazioni nei territori del post-umanesimo, come i film di Lanthimos: in quei casi, però, si trattava di racconti evidentemente paradossali e fantastici; qui, invece, siamo di fronte a uno spaccato umano di desolante iperrealismo, che non risparmia allo spettatore minzioni, emesi, scopie interne, punti di sutura, accecamenti, carne viva e altre situazioni ripugnanti. Perché allora ne parliamo? Lasciamo da parte il lato cinefilo dei due fratelli registi, dotati di un talentaccio fuori dal comune, capaci di girare in 16mm per ottenere un certo tipo di grana, di assicurarsi delle prove attoriali superlative sottoponendo gli interpreti a tour de force fisici ed emotivi impressionanti, di rinverdire la grande stagione del genere del giallo alla Dario Argento dalle trame improbabili.
C’è tutto questo, ma non è ciò che ci interessa. Quello che invece ci riguarda è la rappresentazione del mondo come girone infernale, della vita come malattia mortale sessualmente trasmessa, di ambiti umani che sembrano non essere stati nemmeno sfiorati dalla Redenzione. Nella vicenda di un serial killer cui la Polizia assegna il nickname di Dostoevskij, a causa delle lucide motivazioni nichiliste che lascia scritte accanto alle sue vittime, non solo c’è il richiamo ai tormenti morali dello scrittore russo, ma assistiamo, di fatto, al ribaltamento di una sua celebre sentenza contenuta ne “L’idiota”: «La Bellezza salverà il mondo».
Qui è la bruttezza che degenera il mondo e i suoi abitanti, una bruttezza ambientale fatta di case fatiscenti, arredamenti dozzinali, strade sterrate, villette anonime e agglomerati labirintici degni di Escher. Non si tratta delle «buone cose di pessimo gusto» di Gozzano, o del Kitsch evidenziato in tanta commedia all’italiana, ma di una teoria infinita di oggetti finti, taroccati, «cinesi» che delimitano un orizzonte esistenziale che riguarda tutti, a qualunque livello. Si noti come, durante la sparatoria tra il poliziotto protagonista e il killer, quest’ultimo colpisca uno per uno quei soprammobili presenti nella stanza, quasi a indicare che essi, e ciò che rappresentano, sono il movente ultimo che lo spinge a uccidere.
I registi sono abilissimi a tratteggiare un paesaggio urbano che sembra uscito dagli Stati Uniti del centro: non c’è una chiesa, un borgo, un monumento che rimandi al nostro passato nazionale; è come se ci fossimo già americanizzati al punto da vivere in dei non-luoghi come gli autogrill o i bar desolati dove mangiare solo cibi preconfezionati. L’unico accenno alla tradizione cristiana e umanistica che si intravede è una oleografia dell’”Ultima cena” di Leonardo ormai priva di senso e di estetica. Nel Salmo 23 ci si chiede chi starà nel luogo santo del Signore: «Chi ha mani innocenti e cuore puro» è la risposta. Qualità necessarie anche per attraversare immuni i luoghi dannati qui sommariamente descritti.
Quando nelle nostre comunità ci lamentiamo perché i giovani non partecipano e sono indifferenti all’annuncio evangelico, forse ci dovremmo ricordare che in buona parte essi vivono in simili ambienti, reali o virtuali, dove la prospettiva antropologica offerta loro è lo squallore portato a sistema di vita.
Nulla si salva per i fratelli D’Innocenzo? Una coppia che aspetta un bambino e, con un’equivalenza paradossale, un orfanotrofio modello. Non è molto, ma un riflesso di Bene permane.
DOSTOEVSKIJ
Regia e sceneggiatura: Fratelli D’Innocenzo; fotografia (colore): Matteo Cocco; montaggio: Walter Fasano; scenografia: Roberto De Angelis; arredamento: Andrea Gullace; musica: Michael Wall; interpreti: Filippo Timi, Gabriel Montesi, Carlotta Gamba, Federico Vanni, Simon Rizzoni; produzione: Sky; origine: Italia 2024; formato: 1,66:1; durata complessiva: 280 min.; v.m. 14.
Fonte: ToscanaOggi.it del 30/07/2024