“ELVIS”, Ascesa e caduta di Elvis, il gigante del rock’n roll
recensione a cura di Lorenzo Pierazzi
Con Baz Luhrmann non ci sono mezze misure. Per i detrattori il suo cinema è sempre eccessivo e ridondante, per i fan affascinante e coinvolgente. Elvis non si sottrae a prestare il fianco a queste due categorie di giudizio, come del resto è accaduto alle precedenti pellicole del cinquantanovenne regista australiano (da Ballroom – Gara di ballo a Il grande Gatsby), autore nel complesso di sei film in trent’anni di carriera. Anche questa volta basterebbero da soli i titoli di testa e di coda, affidati in questo caso a scintillanti cascate di diamanti, per dividere gli spettatori di una pellicola dove i colori, le luci, la musica sono poste al servizio della rappresentazione cinematografica di Elvis Presley, la leggenda del rock ’n roll. Un biopic che ci restituisce l’intensità di una figura debordante che ha segnato la storia della musica leggera del Novecento, vendendo un numero di dischi ineguagliato per un artista solista. Un cantante che ha rivoluzionato il linguaggio vocale e fisico della musica ma che, allo stesso tempo, ha finito precocemente la sua esistenza schiacciato dal peso della notorietà. In quasi due ore e mezzo di film, Luhrmann affida al meschino affarista colonnello Parker, il padre-padrone artefice del successo di Elvis ma anche della sua prematura fine, la narrazione della parabola dell’artista, ponendo l’accento su quelli che rimangono i passaggi nodali dell’esistenza di un predestinato, iniziata con una folgorante chiamata divina, attraverso la potenza espressiva della musica cantata dalle persone di colore del suo villaggio, e proseguita con le prime esibizioni sul palcoscenico dove le sue movenze sensuali (che all’epoca gli crearono il soprannome di «Elvis the Pelvis» ma anche problemi con la censura) lo portarono ben presto a diventare un idolo del pubblico femminile. Un’icona indiscussa per generazioni di adolescenti che sono cresciuti ascoltando la sua musica, nutrimento prezioso che intossicherà l’esecutore quando le sue stesse melodie lo renderanno schiavo del successo e incapace di saperlo gestire. Ed è qui che si insinuerà diabolicamente il colonnello Parker, una figura mefistofelica e insensibile ai coinvolgimenti emotivi che caratterizzano ogni essere umano, un agente-imbonitore che rappresenterà la galassia oscura e buia all’interno di un’esistenza dove tutto poteva essere multicolore e piacevolmente assordante. I panni del losco impresario sono indossati da un Tom Hanks appesantito e imbolsito a tal punto che la sua maschera, credibile ed efficace nell’economia della narrazione, è talmente goffa da diventare involontariamente tragicomica. Elvis Presley è invece interpretato da Austin Butler, perfetta incarnazione di un cantante che, al massimo del suo splendore, era semplicemente bello, bravo, ricco e famoso.
Elvis ti avvolge perché è denso di musica, si avvale di un montaggio irresistibile e la macchina da presa corre veloce come la pallina di un flipper. E mentre le melodie che hanno reso celebre questo mito senza tempo accarezzano ininterrottamente le nostre orecchie (cantate dallo stesso Elvis o reinterpretate da grandi artisti, come nel caso di If I can dream affidata ai Måneskin), il regista non si risparmia nell’affidarsi alle più disparate tecniche di ripresa che vanno dall’uso dello split screen alle immagini violentemente accelerate, dall’intermezzo fumettistico al bianco e nero. Insomma, con Luhrmann non ci si annoia mai, perché come in Moulin Rouge! il cinema è sempre uno spettacolo spettacolare.
ELVIS di Baz Luhrmann. Con Austin Butler, Tom Hanks, Chaydon Jay, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Olivia DeJonge, Luke Bracey. Produzione: Bazmark Films, Roadshow Entertainment, The Jackal Group; Distribuzione: Warner Bros.; USA, Australia, 2022 Biografico, Musicale; Colore Durata: 2h 39min
Fonte: Toscana Oggi, edizione del 03/07/2022