“GREEN BORDER” ovvero il confine fra umanità e disumanità nell’Europa di oggi
La regista polacca Agnieszka Holland ci regala il suo film più maturo e convincente, vincitore del Premio della Giuria alla Mostra di Venezia.
di Marco Vanelli
Una lenta carrellata aerea ci mostra una boscaglia. Le immagini diventano progressivamente in bianco e nero e così resteranno per tutto il film, a indicare una realtà ormai diventata grigia se non nera. Ci troviamo alla frontiera tra Bielorussia e Polonia, in quel Green Border del titolo che rimanda alle reali divisioni geopolitiche in atto su cui si impernia il racconto. Un racconto corale che, nella “cristianissima Europa”, rappresenta una discesa agli inferi del nostro tempo; un racconto che non ci può lasciare indifferenti, non ci permette di dire: io non sapevo…; un racconto che vale come un ritiro quaresimale, che non dà risposte ma interroga le coscienze degli spettatori, che attualizza il testo di Mt 25,31-46 e che si pone come una coraggiosa scelta di campo politica rispetto alla Polonia, ma indirettamente riguardo anche a tutta l’Unione Europea.
La macchina da presa, usata con disinvolta maestria da Tomasz Naumiuk, realizza lunghe riprese manuali rinunciando al montaggio pur alternando campi e controcampi, soggettive e inquadrature neutre, coinvolgendo lo spettatore e facendogli provare, per quanto solo virtualmente, un po’ della tensione, della speranza, della disperazione, dell’orrore e del disincanto che i personaggi vivono sulla loro pelle. A partire dal gruppo eterogeneo di profughi che vediamo arrivare in aereo a Minsk con l’obiettivo di oltrepassare il confine polacco e quindi entrare in quell’Europa culla della civiltà occidentale, della democrazia, del rispetto dei diritti umani. Essi provengono dalla Siria, dall’Afghanistan, da qualche paese africano dimenticato e sono vittime di persecuzioni da parte di talebani, isis, regimi totalitari. Hanno un sogno di sopravvivenza, di futuro per i figli, di riscatto. Si ritroveranno nel più assurdo e inumano degli incubi, in una foresta ariostesca, labirintica e paludosa, nella quale come niente si ritorna al punto di partenza, a quel reticolato che separa i due stati le cui rispettive guardie di frontiera giocano a un ping-pong criminale con i corpi dei clandestini: da parte bielorussa usati come siluri umani per osteggiare l’odiata Polonia; da parte polacca come ingombri fastidiosi da gettare al di là della rete, indifferentemente vivi o morti.
Ma nel film c’è anche uno sguardo diverso: quello degli attivisti che, sfidando la legalità, offrono soccorso, cibo e coperte a coloro che nessuno vuole; e anche quello di Julia, psicoterapeuta che apre gli occhi sulla realtà circostante, passando dal disagio interiore dei suoi pazienti all’emergenza umanitaria. A un dato punto un poliziotto di notte ferma l’auto dove lei si trova con dei giovani volontari sospettando che fra loro ci siano dei rifugiati. Come prova vuol sentire che ognuno sa parlare il polacco. Al che Julia, dopo una pausa, recita il Padre nostro, seguita dagli altri, di fronte all’agente infastidito da una simile provocazione: in una Polonia che fa della propria matrice cristiana – e cattolica in ispecie – un vessillo identitario, l’ascolto di quelle parole immortali risulta sovversivo.
Ma Agnieszka Holland sembra dirci che ciò che vale per il governo di Varsavia vale anche per buona parte degli altri stati europei, tant’è che l’immagine della famigliola siriana decimata e affamata con dietro la corona di stelle dell’UE assume un valore assai emblematico. E quando passiamo all’epilogo dove si vede, questa volta, la frontiera tra Ucraina e Polonia spalancata per accogliere chi fugge dalla sciagurata invasione putiniana, portando con sé, oltre alla disperazione, anche canarini e cagnolini, la regista, senza togliere nulla a quest’ultimo dramma, ci chiede se ci sembra cristiano accogliere solo chi è cristiano rifiutando chi non lo è.
GREEN BORDER (t.o.: Zielona granica)
Regia: Agnieszka Holland; sceneggiatura: Maciej Pisuk, Gabriela Łazarkiewicz-Sieczko, A. Holland; fotografia (b/n): Tomasz Naumiuk; montaggio: Pavel Hrdlička; musica: Frédéric Vercheval; interpreti: Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Behi Djanati Atai, Mohamad Al Rashi; distribuzione: Movies Inspired; origine: Polonia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio 2023; formato: 1,85:1; durata: 147 min.
Fonte: ToscanaOggi.it del 27/02/2024