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Il capitale umano

GENERE: Drammatico, Thriller REGIA: Paolo Virzì SCENEGGIATURA: Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo ATTORI: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Vincent Nemeth, Luigi Lo Cascio, Gigio Alberti, Bebo Storti, Pia Engleberth, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli, Matilde Gioli  FOTOGRAFIA: Jérôme Alméras, Simon Beaufils MONTAGGIO: Cecilia Zanuso MUSICHE: Carlo Virzì PRODUZIONE: Indiana Production, Rai Cinema DISTRIBUZIONE: 01 Distribution PAESE: Italia 2014 DURATA: 110 Min USCITA CINEMA: 

Alla vigilia di Natale , un ‘povero Cristo’ torna a casa dopo aver terminato il suo lavoro,in una notte fredda per strade poco illuminate; un suv per non scontrarsi con un’auto proveniente in senso opposto sterza bruscamente investendo l’operaio che procedeva lungo il margine della strada in bicicletta. Su questo fatto si innestano tre racconti che costituiscono il contesto dei personaggi e dei fatti in cui questo incidente si colloca .

In modo assolutamente interessante, il regista Virzì ci presenta una storia in flashback dei personaggi che hanno direttamente o indirettamente vissuto gli antefatti di quell’evento; ma non vi è alcun interesse per il morto, vi è solo l’intenzionedi dare uno spaccato sociale di una certa società per la quale il capitale umano non vale più dei 200.000 euro che , in base a specifiche tabelle, valgono la vita di un uomo, di un lavoratore,di un padre con una moglie e dei figli giovani che non sanno come potranno andare avanti.

La società che ci viene descritta  e costituita da un insieme di tipologie diverse ma tutte con gravi problemi esistenziali:  abbiamo così lo spregiudicato affarista Carlo Bernaschi che vive solo per i suoi affari scommettendo sulle disgrazie altrui e dello stato , abbiamo un piccolo immobiliarista disposto a vendere i sentimenti ed il futuro di sua figlia pur di entrare (inserirsi nel novero dei capitalisti) nella hight society.

In questo contesto vi è anche la storia di Carla,moglie di Bernaschi,che vive la sua esistenza di ricca mantenuta in uno stato di disagio e sofferenza.

L’unico personaggio che non titola un capitolo specifico (il film si sviluppa su tre episodi relativi ai tre personaggi più importanti) è forse il più vero ed ad un tempo il più positivo, Serena Ossola figlia dell’immobiliarista e fidanzata del figlio di Bernaschi. Anche lei è stanca di questa vita di pseudo valori e decide di lasciare tutto per qualcosa di più vero, di reale di più povero anche se questo vuol dire essere emarginata  dalla società che conta.

E’ così che lo spaccato di società che ci viene presentato, (il romanzo da cui è tratto liberamente il film è di Stephen Amidon che ambienta la propria storia nel Connecticut mentre Virzì lo traspone in Brianza) è un ambiente tanto squallido quanto senza valori alcuno, dove rapporti familiari e sociali si impregnano di un egoismo sfrenato , dove tutto è funzionale al conseguimento del successo economico.

La famiglia non ha mogli  – quella di Bernaschi è portata a cercare una sua realizzazione con un professore di teatro mentre quella di Ossola è relegata nel disinteresse nonostante che sia in attesa di una creatura – ma non ha neppure figli se non sono funzionali ai progetti dei capifamiglia. Il figlio di Bernaschi viene umiliato per non aver conseguito un premio scolastico mentre alla figlia di Ossola viene  ‘violata la sua vita privata’ per conseguire l’agognato obiettivo economico.

Nel ritratto delle due famiglie poste in parallelo, non si salva nessuno se non Serena  per la quale il valore del suo rapporto sincero è superiore a tutti i tradimenti del padre e le miserie del ricco fidanzato.

E’ questo il messaggio che Virzì ci vuole comunicare? Se così è, si tratta della ben riuscita fotografia di una  società senza valori, senza anima che pur sempre è una parte significativa della società  di oggi : è questo il Capitale umano con cui abbiamo a che fare ed il cui valore non è quantificato sulla persona ma sul patrimonio di esso dispone.

Vito Rosso

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Dino Ossola, ramo edilizio, sogna di scalare i gradini sociali e medita un guadagno sicuro accettando di mettere in gioco anche i soldi che non ha. Per fare ciò sceglie di investire nella finanziaria di Giovanni Bernaschi, che gli garantisce un utile del 40%. Ovviamente le cose non andranno come previsto, anche perché Bernaschi è uno speculatore spericolato e quindi soggetto agli imprevisti del mercato. Poi le mogli. Roberta Morelli, moglie di Ossola, è una psicologa che fa il proprio lavoro con onestà e passione e quindi è fuori dei giochi. Ma Carla Bernaschi, che sogna un teatro e l’indipendenza che non ha, si lascia facilmente coinvolgere nelle speculazioni del marito, facilmente lo tradisce con un intellettuale e sempre facilmente scende a compromessi con se stessa e quel che resta della sua coscienza. Poi i figli. Serena Ossola ha una breve storia con Massimiliano Bernaschi, viziato e strafottente, prima di dedicarsi a Luca, un emarginato irrequieto. Un ciclista investito e ucciso costringerà tutti a guardarsi allo specchio, ma non per questo a cambiare modo di essere o punti di vista.

Paolo Virzì ha di preferenza raccontato i malesseri del nostro paese in forma di commedia, con sarcasmo, cinismo e una diffusa tendenza ad allargare il più possibile il punto di vista per poter comprendere il maggior numero di argomenti. Il che ha frequentemente rappresentato un limite: molti argomenti, minore omogeneità e profondità. Con “Il capitale umano” Virzì cambia strada, abbandona la commedia, si ispira a un thriller americano di Stephen Amidon, ne trasporta il plot in Brianza e spara a zero su una categoria sociale che, non solo secondo lui, ha fortemente contribuito alla crisi che stiamo attraversando. Il dato positivo de “Il capitale umano” è che, per una volta, Virzì dimostra di sapersi occupare di un argomento senza svariare in troppe strade collaterali. Da ciò emerge un’analisi lucida e spietata di un paese nel quale le colpe dei padri che ricadono sui figli non provocano soltanto infelicità e frustrazione, ma suscitano altre colpe che prefigurano un malessere senza fine. Tutti colpevoli, tutti complici. E se qualcuno pensasse di poter cantare fuori del coro, dovrà rapidamente cambiare idea. Un film denso e ricco di spunti, non c’è dubbio. Ma anche un film con qualche lato oscuro. Intanto la necessità di adattare un thriller americano alla realtà sociale e politica italiana crea qualche distonia: come se in certi snodi narrativi si avvertisse il prevalere dell’una componente sull’altra o una certa difficoltà ad amalgamarle. Poi qualche grossolanità dovuta ad eccessi di passione o di polemica (ci riferiamo in particolare alla fulminea apparizione di un leghista con cravatta e fazzoletto verdi che esalta le qualità di un coro di voci padane e che ha ben poco a che vedere con il resto del film). E infine una visione uniformemente pessimista che esclude a priori l’idea stessa di innocenza mostrando un mondo non interamente credibile fatto soltanto di colpevoli a diversi livelli. Il film, tuttavia, è ben costruito con una divisione in quattro capitoli nei quali alcuni episodi sono mostrati in modo diverso a seconda del punto di vista di un personaggio invece di un altro. E soprattutto può contare su un cast di attori in ottima forma che non mostrano alcuna difficoltà a calarsi nei panni di personaggi tutt’altro che simpatici o degni di umana pietà. Se Fabrizio Gifuni può essere considerato assiduo frequentatore di personaggi negativi, Fabrizio Bentivoglio è praticamente perfetto in un ruolo non consueto e soprattutto meno prevedibile quanto a sviluppi e conclusioni. Perché il primo è un delinquente puro, mentre il secondo è un pavido, strisciante, patetico vigliacco che, mostrando di non conoscere il significato di alcuni concetti base come impegno e responsabilità, non esita a tradire chiunque in vista di un tornaconto che potrebbe essere nient’altro che un palliativo. Bene anche Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino (l’unica a non parlare con fortissimo accento nordico e, guarda caso, l’unica a non avere colpe). In Brianza si sono arrabbiati per una presunta demonizzazione della zona. Di certo “Il capitale umano”, così com’è, non avrebbe potuto essere ambientato altrove.

Mininni Francesco

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