LA STANZA DELLE MERAVIGLIE
di Todd Haynes
(Wonderstruck) REGIA: Todd Haynes. SCENEGGIATURA: Brian Selznick dalla propria graphic novel omonima. INTERPRETI: Oakes Fegley, Millicent Simmonds, Julianne Moore, Jaden Michael, Cory Michael Smith, Tom Noonan, Michelle Williams. FOTOGRAFIA: Ed Lachman (Formato: Cinemascope Panoramico/Bianco e Nero e Colore). MUSICA: Carter Burwell. PRODUZIONE: Christine Vachon, Pam Koffler, John Sloss. DISTRIBUZIONE: 01 Distribution. GENERE: Drammatico. ORIGINE: USA. ANNO: 2018. DURATA: 117’. – JUNIOR CINEMA: Teens.
In epoche diverse, il 1922 e il 1977, Ben e Rose, due bambini, si muovono per raggiungere New York, dove nutrono la speranza di ritrovare lui il padre, lei un’attrice di cui raccoglie foto da inserire nel proprio album…Todd Haynes, nato a Los Angeles nel 1961, è un regista che in quasi trenta anni di carriera (esordio nel 1991 con “Poison”) ha frequentato un cinema tendenzialmente nervoso e provocatorio, sempre muovendosi sul filo di una rilettura spinosa e sofferta della realtà, filtrata non di rado da uno sguardo malinconico e incline al mélo. Che ora abbia cambiato argomento, sovvertendo ruoli e approcci e rovesciando la Storia fino a sovvertirne i presupposti può sorprendere fino a un certo punto. Il fatto è che, partendo dalla graphic novel omonima di Brian Selznick, Haynes si trova tra le mani una materia non facile e a suo modo rischiosa. Si trattava infatti di far incontrare, e di dare un senso compiuto, alle vicende di due bambini, collocate lontane per tempo e spazio. Haynes affronta il copione con piglio robusto e deciso, operando da subito la scelta che aiuta a tirare una linea di demarcazione: Rose si muove negli anni Venti, Ben nel 1977. Entrambi a New York, entrambi alla ricerca di un padre e di una madre finora solo sognati. Rose e Ben sono muti, Rose vive dentro un cinema senza parole, Ben fa i conti con una società che vive come se ci fosse sempre “Taxi driver”. I due racconti procedono separati e quasi non si avvertono i momenti che segnano qualche punto di avvicinamento. La regia corre lungo una linea dal tratto forte ma dal segno esile. I bambini vivono con passione le scoperte del loro mondo ‘negato’ ai rumori che però compensano con le foto e con la scrittura. Ben fa la scoperta dell’amicizia dopo aver rischiato di perderla. Il racconto prosegue, incalzato da un precipitare di dolori ed emozioni infantili. Lunghi momenti di silenzio intenso e rivelatore si alternano con musiche anni ’70. La colonna sonora di Carter Burwell infonde atmosfere che evocano malinconia e rimpianto. Il finale, che non diciamo, vola sulle suggestioni del mai sopito ricordo di una vita che poteva essere e non è stata. Rimane il dubbio, se a prevalere sia la sostanza del testo (la graphic novel di Selznick, già autore di quel “Hugo Cabret” alla base della trasposizione di Martin Scorsese) o la messa in scena di Haynes, capace di restituire la magia di una favola dai contorni cangianti, intimiditi eppure spettacolari. L’autore, comunque, conferma un talento puro e cristallino, la capacità di toccare le corde dell’infanzia, scandendone i passaggi più delicati, e dimostrando di essere in grado di costruire un cinema dolente e comprensivo, fatto di forte narrazione favolistica e insieme di amara realtà. Apogeo del discorso è la splendida ricostruzione della New York degli anni ruggenti, dove il bianco e nero sottolinea la rinascita, il progresso e un ottimismo collettivo in cui prevale la gentilezza, in curioso contrasto con la Grande Mela in Kodachrome di fine anni’70, dai colori saturi, i costumi più sfrontati, ma senso di solitudine e pericolo che isola e accartoccia l’individuo su se stesso.
* Il film è un singolare ed originale prodotto per l’infanzia, per i bambini, per la famiglia, con tutto il contorno di forti emozioni e di profonda bellezza cui le immagini rimandano. Importante l’attenzione alla ‘sordità’ che accomuna i due bambini. Il modo sofferto e insieme positivo con cui l’argomento viene trattato può servire per avviare riflessioni e discussioni sul rapporto cinema/disabilità, nella dimensione non solo della fanciullezza, ma anche dell’adolescenza e della maggiore età. In fondo, La stanza delle meraviglieè un film sulla ricerca di un linguaggio con il quale comunicare e di una famiglia dalla quale essere amati.