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THE FAREWELL (una bugia buona)

di Lulu Wang

 

(The Farewell) REGIA: Lulu Wang. SCENEGGIATURA: Lulu Wang. INTERPRETI: Awkwafina, Shuzhen Zhao, Tzi Ma, Diana Lin. FOTOGRAFIA: Anna Franquesa-Solano (Formato: Panoramico/Colore).  MUSICA: Alex Weston. PRODUZIONE: Daniele Melia, Marc Turtletaub, Peter Saraf, Andrew Miano, Chris Weitz, Jane Zheng, Lulu Wang, Anita Gou. DISTRIBUZIONE: BIM. GENERE: Drammatico. ORIGINE: USA. ANNO: 2019.  DURATA: 98’.

 

La trentenne cinese Billi vive negli Stati Uniti con i suoi genitori. Si sente americana a tutti gli effetti, provando addirittura scarso interesse per le proprie origini. L’occasione però del matrimonio di un familiare la spinge a tornare in Cina, dove vive la nonna Nai Nai. Billie scopre così che la donna è gravemente malata, con poco tempo da vivere. Tutti in famiglia sanno, tranne la nonna, e pertanto decidono di fingere per regalarle gli ultimi giorni spensierati. Non tutto però va come pianificato. Billi si unisce al resto della famiglia, faticando a riconciliare l’affetto per la nonna con le tradizioni culturali cinesi che sono all’origine della bugia: come le spiega suo zio, lo stratagemma fa sì che il peso della diagnosi gravi sulle spalle dei parenti e non della diretta interessata. Come ha spiegato la regista in un’intervista a Variety ai tempi della prima del film al Sundance Film Festival, lei ha sempre percepito il divario tra il rapporto con la famiglia e quello con amici e colleghi, e questo è evidente nella caratterizzazione di Billi, alter ego che regge sulle proprie spalle il peso di un racconto specifico e al contempo universale, una storia che attraversa un oceano per farci ridere e piangere nella consapevolezza che il tempo a disposizione è poco e va passato con le persone a noi più care.

* Lulu Wang è una regista cinese ma statunitense di adozione, con una formazione a Boston; il suo esordio è in ambito musicale, da pianista, ma poco dopo passa alla regia. The Farewell è il suo secondo lungometraggio, presentato al Sundance Film Festival e alla XIV Festa del Cinema di Roma. L’opera si presenta come un mélo familiare con vari registri, alternando snodi drammatici a momenti di gioiosa leggerezza. La prospettiva della narrazione è quella della giovane Billi, che cova in sé il dilemma della verità, quella da dire alla propria nonna, ignara della sua malattia; Billi è l’unica della sua famiglia che si batte affinché la nonna sappia, affinché possa disporre del suo tempo in maniera consapevole. Quella nonna che per lei è sempre stata un punto di riferimento, un porto sicuro nelle incertezze della sua vita, nel suo essere spaccata tra due Paesi. E proprio questo dilemma identitario è il secondo livello narrativo del film, che intercetta anche la biografia della regista: il conflitto interiore, il suo essere a metà strada tra due civiltà; ancora, la frattura tra ricordi felici d’infanzia e l’oggi segnato da precarietà lavorativa e sentimentale. Un racconto che si mantiene sempre fluido, avvolgente nonché profondo, capace di tenere agganciato lo spettatore. Un film certamente da premiare e valorizzare, un piccolo grande film, che racconta il contrasto fra due culture in modo intelligente, sensibile e delicato, ponendo al centro le contraddizioni che esistono all’interno di ogni famiglia. Si ride e si piange, e alla fine, nonostante le implicazioni del titolo, non si ha voglia di dire addio. Anzi, viene spontaneo voler rivedere subito quello che succede a Billi e Nai Nai.

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