di Susanne Bier
(Hævnen) REGIA: Susanne Bier. SCENEGGIATURA: Susanne Bier, Anders Thomas Jensen. INTERPRETI: Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen. FOTOGRAFIA: Morten Søborg (Formato:Cinemascope/Colore). MUSICA: Johan Söderqvist (Colonna sonora: Dolby-Stereo). PRODUZIONE: Danmarks Radio (Dr), Det Danske Filminstitut, Film Fyn. DISTRIBUZIONE: Teodora. GENERE: Drammatico. ORIGINE: Danimarca. ANNO: 2010. DURATA: 100’. – (Junior Cinema: Young)
Anton è un medico che opera in un campo profughi in Africa e che ogni giorno è costretto a fare i conti con la violenza e le ingiustizie cui è sottoposta la popolazione di un in paese costantemente vessato da guerre di ogni sorta. Nel frattempo, in un’apparentemente tranquilla cittadina danese, suo figlio adolescente Elias – timido, bersagliato da prepotenti compagni di scuola e tormentato per la separazione dei genitori – si lega in un’intensa ma rischiosa amicizia con Christian, un suo coetaneo da poco arrivato da Londra, arrabbiato con la vita e con il padre dopo la morte della madre. Le vicende dei due ragazzi porteranno le rispettive famiglie a incrociarsi in un tourbillon di fragilità e dolore ma anche comprensione e perdono….
Ciascuno in fondo ha una pena da scontare, una storia che lo riguarda, un film a parte (come quello di cui è protagonista Mikael, padre di Elias e medico idealista che fa spola con l’Africa). La Bier non perde di vista nessuno, quasi che l’estasi e il tormento di ciascun personaggio fosse in fondo anche il suo. Dopo l’esperienza americana (“Noi due sconosciuti”) la danese ritrova terra e ispirazione in un dramma morale che sarebbe piaciuto a Bergman. Ma se il maestro era austero e cerebrale, l’allieva è tutta cuore. Il (melo)dramma è il patema di un occhio che non può più osservare il mondo e non sentirlo. D’altra parte, la strategia degli affetti è l’unica risposta politica all’antipolitica diffusa degli umori, delle reazioni a caldo, dell’emotività. Opportuna poi la scelta di eludere il racconto di formazione classico, utilizzando l’adolescenza come banco di prova dei conflitti che agitano il presente: la scelta tra modelli educativi diventa bivio esistenziale, vendetta o perdono, violenza o comprensione, chiusura o dialogo. Gli adolescenti – questi qui, non quelli citrulli del cinema nostro – sono la posta in gioco del futuro. La Bier intercetta un malessere reale, assumendosi il rischio di prenderne parte, schierarsi. Apre e chiude il suo cinema come una fisarmonica, alternando momenti di massima tensione a quelli di quiete; dilata tempi e temi, forse abusa. Compone immagini, musica (di Johan Soderqvist) e fotografia (Morten Soborg) in un affresco impressionista e kantiano, trovando nei suoi personaggi – e negli attori diretti alla perfezione – il conforto di una legge morale. Nei cieli stellati i presagi dell’avvenire. E il suo, se continua così, sarà certamente radioso.
* Attori perfetti per un dramma morale che non teme di confrontarsi con i nodi spinosi del presente. Ambizioso e riuscito, forse il miglior film della Bier. Quale prezzo siamo disposti a pagare per difendere i nostri ideali? Che efficacia possono avere l’educazione, l’etica e il buon senso in un mondo travolto dal caos e rassegnato alla violenza? E che futuro consegnare ai nostri figli? Il nuovo, bel film di Susanne Bier, In un mondo migliore (candidato danese all’Oscar), non ha paura di affrontare alcuni dei nodi più spinosi delle società occidentali. Lo fa disinnescando la retorica – e la carne al fuoco – che il soggetto di Anders Thomas Jensen (al suo quarto film con la Bier) autorizzerebbe a spalmare. Di fronte a una sceneggiatura che prevede snodi e scorciatoie drammaturgiche prevedibili, è il cinema a fare la differenza, ad autenticare tutto grazie alla partecipazione e l’urgenza con cui la regista danese aderisce ai conflitti dei sui personaggi, alle piaghe del loro vissuto personale, alla fragilità di modelli valoriali e progetti di vita.
CLASSIFICAZIONE FILM: YoungTipologia Utilizzo: MIRATO