DUE SOTTO IL BURQA
di Sou Abadi
Si può ridere dell’integralismo religioso, dell’intolleranza dell’Islam, delle donne costrette a nascondersi sotto un velo nero, di uomini prepotenti e aggressivi che impongono assurde regole a mogli e figlie cresciute tra le irrinunciabili libertà dei paesi occidentali ? La sfida è stata raccolta dalla regista Sou Abadi, che a quindici anni ha lasciato la sua famiglia e l’Iran per trasferirsi in Francia, dove vive tutt’ora. Il suo film è una commedia degli equivoci antioscurantista che aggiorna l’umorismo di “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder ai tempi del fondamentalismo islamico. Leila e Armand sono giovani, si amano, studiano scienze politiche a Parigi e hanno in programma uno stage alle Nazioni Unite. Lui è cresciuto con la madre iraniana che ha lasciato il paese dopo l’avvento di Khomeini; lei, a pochi giorni dalla partenza per New York, si vede invece piombare in casa il fratello Mahmoud, reduce dallo Yemen, dove ha scelto la strada della radicalizzazione. Leila non può più frequentare Armand, ma il ragazzo, per continuare a vederla, studia il Corano, scoprendo un Islam di pace e tolleranza, indossa il niqab, l’abito che lascia scoperti solo gli occhi, e si presenta a casa della fidanzata fingendo di essere Sheherazade, una giovane donna bisognosa di lezioni. La misteriosa studentessa però cattura l’attenzione di Mahmoud, che finisce per innamorarsi di lei e chiederla in moglie. A questo punto le cose si complicano terribilmente e ci vorrà tutto l’impegno di genitori e amici per uscirne fuori…«L’idea di questo film – ci racconta la regista, già autrice di documentari e montatrice – nasce dal mio passato. In Iran ho vissuto la nascita della Repubblica Islamica, i divieti, la trasformazione della religione in una legge spietata che pretendeva di stabilire delle regole sulla nostra vita quotidiana, individuale, privata. Ancora ragazzina ho lasciato il paese per vivere in una società lontana da queste forme di violenza, ma qualche anno dopo questi stessi temi si sono riproposti anche in Francia». Eppure il gioco del travestimento nella storia tocca un nervo scoperto: il niqab, qui trasformato in camuffamento amoroso, è stato bandito in Francia con una legge del 2010, ma è perno intorno al quale ruota la comicità del film, che con una risata mette alla berlina il fanatismo.
* La regista non teme reazioni negative. «Non credo di essere stata particolarmente coraggiosa se paragonata a parenti e amici imprigionati, torturati e giustiziati. Non attacco la religione, l’ironia colpisce solo l’integralismo. Se ci facciamo condizionare dal politicamente corretto non riusciremo a dire ciò che ci sta davvero a cuore e io non ho certo lasciato il mio paese, la mia famiglia e la mia agiatezza a quindici anni per starmene zitta. Ho scelto la commedia perché forse da una risata può nascere una riflessione più attenta». Il film sostiene anche l’idea che molti giovani musulmani trovino nella moschea l’unica occasione di socializzazione in un paese nel quale non riescono a integrarsi e che i radicalizzati avrebbero bisogno di una vera e propria rieducazione alla vita. Inoltre, c’ è anche una critica al mondo occidentale e agli intellettuali da salotto che spesso sbagliano le loro analisi politiche e hanno tendenza a sottovalutare il semplice buon senso. Nel complesso il film affronta temi attuali e non banali con l’arma dell’ironia, rappresentando una classica commedia degli equivoci. Il racconto è delicato, non banale e diverte proprio perché i personaggi, pur nella loro singolarità non appaiono marionette, ma reali e coinvolgenti.