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“L’ULTIMO GIORNO SULLA TERRA ” finché non si spenga la luna

di Giacomo Mininni

Si sa, in tempo di crisi o di grandi cambiamenti, il sottogenere catastrofico torna prepotentemente in auge, con cataclismi pronti a spazzare via la civiltà umana, specchio ed esorcismo delle paure di massa, il più delle volte risolte in un blockbuster fracassone di puro e semplice intrattenimento. Schiacciato tra i prodotti analoghi di due maxiproduzioni hollywoodiane come «Don’t Look Up» di Netflix e «Moonfall» di Roland Emmerich, però, esce in sala L’ultimo giorno sulla Terra di Romain Quirot, che per il suo primo lungometraggio rifà uno dei suoi corti di maggior successo, Le dernier voyage de l’énigmatique Paul W.R. del 2015.
Siamo in un futuro non troppo lontano, in cui una gigantesca luna rossa, utilizzata fino a poco prima come miniera di Lumina, miracoloso minerale che è diventata la principale fonte di energia al mondo, è entrata in rotta di collisione con il pianeta Terra. Paul W.R. è un astronauta, l’unico capace di arginare l’impenetrabile campo magnetico della luna rossa e piantare così le cariche nucleari che potrebbero distruggerla salvando il pianeta, ma per qualche ragione Paul è fuggito, facendo perdere ogni traccia di sé. Quirot ci porta in una landa desolata che oscilla tra «Mad Max» e «Blade Runner», sfruttando i set abbandonati de «Le colline hanno gli occhi» di Craven per creare panoramiche potenti e affascinanti, con la maestosa e minacciosa luna rossa che diventa sempre più grande sopra il deserto che un tempo era la Francia. Lontano tanto dal modello classico dell’eroe tutto d’un pezzo che si oppone alla catastrofe imminente quanto dall’allegoria-satira sociopolitica, Quirot imbastisce invece una malinconica riflessione esistenziale sul rapporto tra uomo e natura, con qualche concessione a un’insperata dimensione spirituale.
Più che alla fantascienza classica, richiamata più che altro dallo stile grafico adottato, il film guarda a un modello fiabesco, col protagonista chiamato a una cerca quasi cavalleresca, accompagnato da un aiutante che, come nelle migliori storie, gli ruba spesso la scena (la giovanissima Lya OussaditLessert, vera rivelazione del film), e guidato da visioni magiche che svelano il futuro sotto forma di misteriosi oracoli nascosti dei ricordi d’infanzia. Il vero nucleo tematico del film si trova nella descrizione asciutta e tragica di un mondo finito già prima dell’impatto con la luna, un pianeta che ha esaurito le proprie risorse idriche ed energetiche, un enorme e desertico cimitero di veicoli senza più carburante e abitato da squallide ed emaciate figure che possono solo aspettare la fine. È in questa desolazione naturale e umana che si muovono i due fratelli W.R., che si fanno portavoce di una psicologia quasi mistica nella sua resa: da un lato l’eroe, Paul (Hugo Becker), che segue un’ostinata speranza, quasi una fede, nella vita che trova sempre una via, una visione che attribuisce un’aura messianica di rinnovamento e redenzione alla temuta luna rossa; dall’altra Eliott (Paul Hamy), cacciatore contaminato, che scava nella psiche delle persone che incontra per amplificarne la disperazione, strappando loro quel poco che ancora le ancora a una vita vuota, senza orizzonte né scopo.
Pur tra evidenti problemi di montaggio e un passo fin troppo lento, L’ultimo giorno sulla Terra riesce a mantenere una notevole capacità comunicativa e un fascino quasi etereo, con un nucleo tematico forte che parla di e a un oggi in cui la speranza latita su più livelli. Nonostante le chiarissime imperfezioni, un esordio decisamente interessante.
L’ULTIMO GIORNO SULLA TERRA di Romain Quirot. Con Hugo Becker, Lya Oussadit-Lessert, Paul Hamy, Jean
Reno. Francia, 2020. Fantascienza.

Fonte: Toscana Oggi, edizione del 06/02/2022

 

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