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Il passato

IN PASSATO

ENERE: Drammatico REGIA: Asghar Farhadi  SCENEGGIATURA: Asghar Farhadi  ATTORI: Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Sabrina Ouazani, Pauline Burlet, Elyes Aguis, Babak Karimi,Valeria Cavalli, Jeanne Jestin FOTOGRAFIA: Mahmood Kalari  MONTAGGIO: Juliette Welfling PRODUZIONE: Memento Films Production, Memento Films Production DISTRIBUZIONE: BIM  PAESE: Francia 2013  DURATA: 130 Min USCITA CINEMA: 

Ahmad, iraniano, torna in Francia per firmare i documenti del divorzio da Marie. A due anni da “Una separazione”, a questo punto, potremmo anche pensare che Asghar Farhadi, nel frattempo emigrato in Francia, abbia voluto analizzare le medesime problematiche da un diverso punto di vista. Il dubbio permane per una decina di minuti, dopodiché “Il passato” prende tutta un’altra strada e dimostra alcune cose non scontate: che Farhadi è un regista iraniano perfettamente in grado di raccontare storie che non coinvolgano direttamente il suo paese; che la complessità dell’essere umano, tanto perfettibile quanto imperfetto, può sempre essere un grande banco di prova per autori che abbiano voglia e capacità di andare a fondo; che un thriller non è necessariamente un film di suspense con intrighi, delitti e assassini da scoprire; che esistono ancora film (e non sono tanti) capaci di toccarci, appassionarci, coinvolgerci e portarci a recuperare un buon rapporto con il cinema e talvolta anche con la vita. Tutto questo senza espedienti, trucchetti, colpi di scena eclatanti né tanto meno strizzate d’occhio complici: Farhadi ottiene un risultato d’eccellenza semplicemente raccontando quello che sa o che cerca di sapere sulla vita.

In effetti la situazione a Parigi è davvero complessa. Marie ha due figlie, Lucie e Léa, e un nuovo uomo, il magrebino Samir, che ha un figlio, Fouad, e una moglie in coma dopo un tentato suicidio. I rapporti sono spesso conflittuali. È soprattutto Lucie a non accettare l’idea che la madre possa accasarsi con un uomo che ha una moglie in quello stato. Ma anche Fouad, trasportato da una casa all’altra a seconda dei momenti, reagisce molto male. A coronare il tutto, Marie aspetta un figlio da Samir. Ad Ahmad, che a suo tempo ha molto sofferto cadendo in depressione, tocca il ruolo dell’osservatore e consigliere, che talvolta gli attira le antipatie e le ire di tutti. È la sua tenacia, tuttavia, a condurre alla verità: ognuno dei contendenti ha qualcosa da nascondere, qualcosa di cui scusarsi, qualche profondo senso di colpa, qualche tratto di strada accidentata da percorrere.

Farhadi non dà risposte alle molte domande che si pone durante il film. Con uno stile riconoscibilissimo capace di passare dal dramma familiare all’analisi interiore al thriller anomalo, intende dare forma a una verità difficilissima da rappresentare senza retorica o paternalismo: talvolta accade che ognuno abbia le proprie ragioni, tutte ugualmente valide ma fonte di contrasto quando, magari inconsapevolmente, si scontrano con le ragioni degli altri. “Il passato” è un percorso a ostacoli che in un certo senso non deve aver fine, perché una fine implicherebbe un intervento risolutore dall’esterno (regista o sceneggiatore, non importa) che allontanerebbe il percorso dalla direzione indicata da Farhadi: l’inizio di una ricerca che ogni personaggio compie su se stesso e, di conseguenza, sugli altri. Una volta preso atto della possibilità che le cose non stessero esattamente come sembrava (ognuno dal suo punto di vista) il film può finire e la vita vera può cominciare. Con il suo stile avvolgente, con una dialettica serrata, con il contributo di attori molto calati nei rispettivi personaggi e con l’umiltà di non ergersi a giudice, giustiziere o anche semplicemente consulente familiare, Farhadi realizza probabilmente un capolavoro che rimanda lo spettatore a casa con molte cose sulle quali riflettere, con la consapevolezza di cosa possa essere il cinema se usato con serietà, con la certezza che una donna inquieta, un ex-marito, un amante e tre figli non debbano per forza dar vita a una commedia degli equivoci. Tra gli attori scegliamo Pauline Burlet, che era Edith Piaf a dieci anni ne “La vie en rose”: la sua Lucie colpisce al cuore e conferma che per Farhadi, che lo aveva già espresso a chiare lettere in “Una separazione” nel personaggio di Termeh, è l’adolescenza l’età critica sulla quale ricadono le colpe degli adulti.

Francesco Mininni

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